DELLA VITA

Il nonno di mio figlio e’ morto lo scorso inverno, quando il Patato aveva solo un anno e mezzo. Il caso volle che giusto qualche tempo prima mi fossi imbattuta in un paio di libri “Accabadora” di Micaela Murgia e “Così e’ la vita” di Concita De Gregorio. Io ho l’ intima convinzione che i libri non arrivino mai per caso, o meglio, che noi non arriviamo mai per caso a trovare certi libri. Eppure mai come in quella circostanza mi ero sentita impreparata ad affrontare la vita con una creatura non ancora parlante, ma che sembrava capire benissimo tutto quanto gli capitasse intorno. Anzi, che capiva magari anche meglio di te certe cose completamente sfuggite ai tuoi filtri.
Mi ero ritrovata balbettante, a mormorare con nodo alla gola:”Amore, tu adesso stai un paio di giorni dai nonni. La mamma deve andare da papà, perche’ il nonno e’ morto”, e con la muta domanda che mi rimbalzava in testa, di fronte al suo sguardo smarrito:”ma avrà capito?! Cosa avrà capito?”
Qualche tempo dopo mio figlio era intento a sfogliare un piccolo album di sue fotografie, nelle quali compariva anche mio suocero in un’immagine scattata qualche giorno dopo la sua nascita. Con il ditino puntato sulla figura, esclamava deciso “nonno!”
In un paio di occasioni siamo andati insieme a lui al cimitero, dove un’altra foto del nonno e’ stata al centro della sua attenzione.
Credo che ai bambini, pur se piccoli, non debba mai essere omesso di parlare della morte, ne di far riferimento a persone che non ci sono più, a maggior ragione quando quelle persone sono parte della famiglia. Ma confesso che mi e’ molto difficile farlo, soprattutto nel modo autorevole e rassicurante che mi augurerei. Rimane sempre un non detto, un qualcosa di mancante che fatico ad individuare persino per me stessa.
Ieri mio figlio ha avuto la possibilità, abbastanza rara per ragioni geografiche, di passare una domenica insieme a tutti i nonni. Così gli era stato detto che avrebbe trascorso la giornata con TUTTI i nonni. Cosa non propriamente corretta. Avremmo dovuto dirgli “tutti i nonni vivi”.
Me lo immagino, nella sua testolina sveglia, domandarsi:”ma l’altro nonno, quello che mi fanno sempre vedere in foto, perche’ non mi viene mai a trovare”?

UN SOTTILE EQUILIBRIO

E’ un gioco di continui, sottili equilibri il lavoro di madre. Anche quello di figlio, ma questo ancora lui non lo sa.
Una partita infinita, aperta ogni giorno allo spuntar del sole e solo sospesa al calare della sera, in attesa di un nuovo domani.
E’ accettare continui dubbi, tentativi, successi ed errori. E’ sentirsi, qualche volta, sollevate per un passo avanti nella propria maturità, in una consapevolezza acquistata e mai definitiva. E’ vivere i frequenti scivoloni, i passi indietro da gambero spaventato. Senza mai darsi per vinte, senza arrendersi all’evidenza di un compito che, a dispetto di tutto l’impegno possibile, non sarà mai perfetto.
Ho giorni di interrogativi sulla mia vita di madre. Spesso penso di stare sbagliando più del consentito. Me lo sono cercata un figlio così. Mi sono augurata per i nove lunghi mesi che nascesse forte, spirito libero ed indipendente, oltre che naturalmente sano. Che sapesse andare incontro (e anche contro, se del caso) alla vita. Accontentata in pieno. Meglio di così sarebbe stato impossibile. Mi hanno recapitato un leoncino cocciuto e orgoglioso. Che non si arrende davanti a niente, neppure a sua madre.
Ed e’ un continuo dilemma. Ognuno e’ se stesso, mi dico continuamente, e come tale va accettato e rispettato. Magari smussando un po’ gli spigoli peggiori, che forse due anni sono pochi per sapere da soli cosa e’ giusto fare. Difficile trovare l’equilibrio, capire e sapere fin dove e’ buona cosa forzare la mano e dove invece lasciar fare alla vita.
Il principio e’ chiarissimo, l’attuazione diabolica. Schiere di Tate SOS temo non risolverebbero appieno il dubbio esistenziale, ognuno la pensa a suo modo e ciò che a me pare sacrosanto può non esserlo per altri.
Ma mi piacerebbe un aiuto, giusto così, per sapere di non aver proprio perso la bussola nel mare in burrasca.

CICALE

Il mio primo incontro con le cicale risale ormai a parecchi anni fa. Frequentavo il primo anno delle elementari e, non ricordo più in quale momento dell’anno scolastico, venne organizzata una rappresentazione della favola “la cicala e la formica”. Erano stati creati bellissimi costumi in cartapesta, da indossare per l’interpretazione delle due protagoniste. Era scattata immediatamente la competizione per aggiudicarsi la parte, soprattutto perche’ i costumi erano bellissimi, almeno ai nostri occhi di bimbe seienni. Non so più chi interpreto’ la cicala, chi la formica, ne’ come andò la recita. Ricordo, pero’, molto bene la storia che ho avuto modo di “ripassare” di recente, in quanto contenuta in un bellissimo librone di favole classiche che due amiche hanno regalato a mio figlio quando e’ nato.
In queste settimane di luglio vado a riprendere il Patato al nido alle 12.30, lo porto a casa per il sonnellino, così da evitare ad entrambi la canicola delle ore più calde. Attraversando i giardini nelle giornate di bel tempo, complice il silenzio estivo della città, le cicale impongono il suono della loro presenza. Spesso le sento anche da casa, nel tempo della siesta pomeridiana. Sono per me il suono dell’estate, svelano ricordi di vacanze, di calure mitigate dal verde della pineta. Ok, a volte rompono anche un po’ le scatole, che se ne stessero zitte qualche secondo.
Ma a me stanno tanto simpatiche. Sara’ che in questi giorni ho la casa invasa dalle formiche, le efficientissime formiche impegnate sino allo sfinimento a fare provviste per l’inverno. Sara’ che in questi mesi la componente ‘anti’ della mia personalità sta un po’ prendendo il sopravvento. Adesso lo posso confessare. Anche a sei anni io facevo il tifo per lei, anche se non lo dicevo. Mica si poteva, a quei tempi, andare contro la morale delle storia. Prendere le parti di quella scellerata senza testa che finisce morta di fame per la sua incapacità di essere previdente e lungimirante (e anche perche’ quella str…della formica non si degna di allungarle una briciola…ma questa e’ ancora un’altra storia 🙂 ) non era socialmente consentito.
In realtà forse non e’ consentito neanche adesso. Mentre sto scrivendo il post, i due neuroni ancora funzionanti operano strani collegamenti con le incombenti notizie di economia e finanza. Sarà. Ma dato che mi sto avvicinando ai quaranta, posso anche fregarmene un po’ del politically correct.
Io ho sempre fatto il tifo per la cicala. Almeno se la gode e, forse, crepa pure felice.
La formica finirà comunque nell’inferno, avendo negato persino una briciola ad un essere morente.
E si sa che niente e’ peggio dell’inferno.

P.s. Se qualcuno fosse a conoscenza di un EFFICACE rimedio naturale contro le formiche in appartamento, comunicarlo, please. Che col mostriciattolo in giro non posso certo iniziare a spargere pesticidi!

UN SABATO SERA

Inutile ricordarlo a tutti i genitori di figli piccoletti che, anche nella più rosea delle ipotesi, i sabato sera non sono più quelli di una volta. Neppure nel caso in cui, pure nella tua vita precedente, non e’ che fossi proprio una nottambula, che passassi inderogabilmente le serate tra happy hour, cene fuori casa e discoteca. Anche se a volte era solo una pizza, un film, una serata e due chiacchiere con amici o una passeggiata, il sabato sera era “una cosa diversa”.
Da quando e’ nato il Patato questo elemento distintivo settimanale si e’ inevitabilmente assottigliato, sino ad appiattirsi spesso sui ritmi di tutte le altre serate casalinghe, salvo le circostanze di visita ad altri amici con figli piccoli che, allora, con qualche aggiustamento di modi e tempi, possono produrre qualcosa di buono.
Sabato scorso, per la prima volta in due anni, abbiamo ricevuto un invito a cena da amici di famiglia di mio marito, esteso a tutti, pargolo incluso. Senza pensarci troppo e, forse, con eccessiva dose di ottimismo genitoriale, abbiamo accettato senza problemi.
Senza dilungarmi nella cronaca della serata, e’ sufficiente qualche piccolo dettaglio. Coppia di ultra-cinquantenni, abitanti in un attico acquistato di recente, costato mesi in ristrutturazione radicale. Pavimento in parquet scuro e marmo in tutta la casa, mobili e arredi di design da pagina di AD. Salone immenso, con divano in pelle color glicine, attrezzature elettroniche, cristalli e porcellane in ogni dove. Specchi alle pareti ad altezza uomo. Terrazza perimetrale all’edificio con vista sulla citta’, specchio di due metri anche li’. Esattamente la casa ideale dove portare mio figlio. La materializzazione del peggiore incubo del genitore. Come si muove – e accidenti quanto si muove!- questo rompe, sporca, vandalizza tutto quello che incontra sul cammino dei piedini numero 22. E’ riuscito anche a mangiare qualcosa mio figlio, cosa rara quando e’ fuori ambiente. Peccato che abbia anche rapidamente raggiunto il livello di sfinimento psico-fisico del duenne, la cui conseguenza, nel caso specifico, e’ una sfrenata escalation dell’iperattività che, a sua volta, alimenta lo sfinimento, e così avanti, salvo che non si trovi un modo furbo per porre presto rimedio alla cosa. Mio marito ha eroicamente impiegato almeno tre quarti d’ora per provare ad addormentarlo, dopo aver sperato nel miracolo della buonanotte grazie al canonico biberon di latte. C’è anche riuscito, alla fine, nonostante la sauna dei trenta grandi, andando su e giù all’infinito con lui in braccio, e meno male che pesa poco.
Sembrava fatta, il peggio passato. Arrivato il momento di godersi in pace almeno parte della cena. Peccato che tuo figlio stia dormendo su un divano, chiaramente senza sponde di protezione, che sia fradicio di sudore e che ogni due per tre lanci urla nel sonno come se lo stessero torturando. Peccato che tu, a quel punto, abbia il solo desiderio di buttarti in un letto dopo un bel bagno rinfrescante, che i trenta e passa gradi ci sono anche per te e la doccia fatta prima di uscire ormai e’ preistoria. Peccato che quando, finalmente, diosialodato, all’una e mezza di notte, riesci a schiodarti di li’, cercando di infagottare la creatura alla belle meglio per evitargli la polmonite, che nel frattempo c’è stato il temporale, quella si sveglia beata e saltellante, pronta per un nuovo round di giochiamo tutti insieme. Peccato che tu debba impiegare un quarto d’ora per riuscire a percorrere il metro e mezzo che separa la porta di uscita dall’ascensore che, guarda caso, un pipistrello, poverino, si e’ infilato nel vano scala e non riesce più ad uscire. E lo sai benissimo che tutte le storie sui pipistrelli sono leggende metropolitane, inventate per accanirsi su povere creature non proprio baciate dalla fortuna della bellezza, ma, in quel momento, vorresti decisamente evitare di essere la prova vivente di una drammatica smentita delle tue convinzioni.

CONTROCORRENTE

Tante notizie al femminile questa settimana. Buone notizie. Tutte riportate, commentate e dibattute nel blog “La 27ma ora” del Corriere della Sera. E’ un blog che leggo spesso, subito dopo quelli di Style 🙂
C’è il caso della nuova a.d. di Yahoo, assunta “nonostante” sia incinta di cinque mesi. Evviva. Il soffitto di cristallo mostra sempre più evidenti segnali di cedimento. Non tutto il mondo e’ maschilista e retrogrado come l’Italia (meno male).
C’è la notizia secondo cui risulterebbe scientificamente dimostrato che le donne sono più intelligenti degli uomini. Avrebbero in media un Q.I. più elevato. Beh, il sospetto, diciamocelo, forse c’era da un pezzo. Almeno noi riusciamo a lavorare, partorire e crescere i figli, mandare avanti casa, marito e prole, tutto contemporaneamente. Qualcuna riesce addirittura a trovare anche del tempo per i suoi interessi personali. Mai viste analoghe situazioni nel mondo maschile.
C’è l’articolo di Beppe Severgnini, un appello alle donne perche’ cerchino di di cambiare gli uomini, non loro stesse che, forse, per i motivi di cui sopra, vanno già bene così. Se solo lo sapessero. Se solo riuscissero ad affrontare le sfide della vita come fa l’altro sesso.
Evviva. Forse qualcosa sta finalmente cambiando. Siamo vicini, o meglio vicine, alla svolta epocale. Proprio sicuri?
Siamo davvero così sicure che la nomina della signora Mayer ai vertici della americanissima Yahoo sia una così buona notizia? Per lei stessa e per il figlio che nascerà tra qualche mese? Sarei più serena, forse, se si trattasse di una azienda norvegese. Magari riuscirà a ritagliarsi comunque i tempi necessari per fare spazio alla nuova creatura, per vivere appieno la nuova famiglia. Glielo auguro tanto, da donna e da madre.
Beh, c’è sempre il Q.I. Il Q.I? Ma non era, ormai, in disuso da anni? Ampiamente superato dagli studi di neuroscienze, dall’intelligenza emotiva, dall’intelligenza sociale? E poi, avete presente quanto sono brave le donne a fare squadra, ad unirsi per combattere insieme per gli interessi della categoria?? E, ancor meglio, avete presente come a volte riescano a gestire i conflitti interpersonali? Un vecchio proverbio dice qualcosa del tipo “L’inferno non conosce furia paragonabile a quella di una donna delusa”. Una mia vicina di casa insegna alla scuola materna. Dice che i bambini maschi litigano spesso e spesso di azzuffano, si menano fisicamente. Dopo dieci minuti vanno tutti insieme a giocare a pallone. Le femmine raramente si picchiano, peccato che costruiscano catene di vendette che neppure i Borgia. E hanno tre anni.
Le donne hanno energie eroiche, basterebbe che le sapessero sfruttare. Sono completamente, assolutamente d’accordo. D’accordo nel continuare a parlarne, ragionarci, discuterne. Tutti insieme. Tutte insieme. Peccato che parlare non basta, peccato che grandi proposte di soluzioni pratiche non se ne sentano mai. Peccato che le donne debbano sempre rinunciare a qualcosa per avere qualcos’altro.

UNO STRANO POST PARTUM

Il mio periodo post partum dovrebbe essersi concluso ormai tempo fa. Mio figlio ha due anni. Eppure da quella fase della vita devo aver ereditato qualcosa di estremamente duraturo, forse permanente.
Per alcuni mesi ho pensato che il fenomeno potesse essere la naturale conseguenza della tempesta ormonale da gravidanza, parto e puerperio. Poi, un effetto della quotidianità con una creatura neonata, delle notti insonni, dell’inevitabile malinconia del dopo-pancia. Dopo il rientro al lavoro ho iniziato a sospettare qualche stranezza, prima attribuita alle difficoltà del reinserimento professionale post maternità. Ci sono poi stati mesi difficili, durante i quali qualsiasi fenomeno poteva essere ragionevolmente spiegato con imponenti dosi di stress.
Adesso sono in anno sabbatico, e’ estate, l’afa non incombe neppure più di tanto, mio figlio cresce, spero anche un po’ meglio con me vicina.
Eppure poco e’ cambiato. E’ sufficiente che io senta o veda, o che qualcuno racconti, storie di madri e neonati meno che splendide e felici, e io non mi posso trattenere. Fosse anche il film più idiota in cui compare una donna gravida in difficoltà, il telefilm più insulso dove fa capolino un neonato abbandonato, le mie lacrime sono una garanzia.
Figurarsi cosa e’ successo un paio di settimane fa, alla notizia del bimbo prematuro depositato dalla madre nella “ruota degli esposti” della Mangiagalli di Milano. Ho passato un quarto d’ora fissando i piedini di mio figlio che dormiva, senza smettere di piangere. Nuda. Senza la più elementare difesa emotiva dalle aggressioni della vita crudele.
Mi sa che dal post partum non mi sono ancora ripresa. O che non sono più la stessa persona.

COZZA DI NONNA

Non avevo mai pensato che mio figlio appartenesse alla categoria dei pargoli “cozza”. L’ho scritto anche di recente: sin dalla nascita il Patato si e’ sempre dimostrato particolarmente indipendente da persone e cose. Anche il pupazzo preferito per la nanna, ad esempio, se c’è meglio, ma anche senza si sopravvive lo stesso. Tanto che al nido, per assurdo, non l’ha mai utilizzato.
Ieri e’ arrivata a trovarci la nonna. Vive lontano, in un’altra regione, per cui non la possiamo vedere tutti i giorni e nemmeno tutte le settimane. Quando arriva da noi si ferma qualche giorno, nei momenti familiari più difficili anche qualche settimana. In questi due anni abbiamo fatto insieme alcuni periodi al mare, anche una parte dell’ultima vacanza di giugno. Quando mio figlio e’ nato e’ stata la persona che ha vissuto più spesso in famiglia, dopo il papà. Sembra dunque abbastanza normale che ci sia affezionato, ma sino ad ora i suoi riconoscimenti affettivi erano sempre stati tutto sommato contenuti. Il Patato non da’ baci a nessuno, raramente un gesto lontanamente somigliante ad un abbraccio. Ieri deve essere capitato qualcosa di nuovo.
Da quando la nonna e’ arrivata si e’ trasformato in un francobollo immerso nel collante a presa rapida. I genitori totalmente eclissati dal panorama familiare, se ci sono bene (forse), se non ci sono anche meglio, così non disturbano le coccole. E’ tutto un “nonna! nonna! nonnaaa”!!!! Vuole giocare, essere preso in braccio (!), portato a spasso solo da lei.
Si sa, i nonni sono istituzionalmente creati per i vizi, per concedere ai pupetti quello che i genitori, per loro ruolo istituzionale, NON POSSONO concedere, neppure se volessero.
In più, il Patato sta evidentemente crescendo, motivo per cui certe dinamiche relazionali, prima più sfumate, cominciano ad assumere una certa prepotente evidenza.
Niente di anomalo, dunque. Anzi, e’ solo un grande bene che mio figlio ami i suoi nonni, l’amore per un bambino non e’ mai abbastanza.
Ma ho un sospetto. Ieri la nonna e’ arrivata con un paio di regali, tra cui un libro sonoro a cui la creatura si e’ attaccata come una cozza allo scoglio. Non voleva neppure fare il sonnellino per continuare a giocarci: dopo urla infinite si e’ arreso allo sfinimento, ma per poco. Il riposo pomeridiano e’ durato circa la meta’ della media del periodo e, non appena aperti gli occhi, subito a reclamare “nonna, la’”, dove “la’” stava ad indicare il tavolo col nuovo volume sopra.
Siamo poi così sicuri che tutto questo incontenibile attaccamento sia solo per la nonna?!?!

DELUSIONI SABBATICHE

Mi hanno annullato il corso di cucina. Due lezioni in agenda nelle prossime due settimane, il regalo di mio marito per il compleanno. Avevo scelto il corso un paio di mesi fa e stamattina mi hanno telefonato dicendo che non e’ stato raggiunto il numero minimo di partecipanti, quindi sono costretti a cancellare il tutto.
Ora, mi rendo perfettamente conto che, forse, luglio non e’ proprio il mese migliore per questo genere di attività. Ci pensavo qualche giorno fa, dicendo tra me e me che, magari, iniziare con l’autunno sarebbe stato meglio. Per questioni esclusivamente climatiche: passare tre ore davanti ai fornelli con fuori più di trenta gradi può non essere il massimo della vita, mentre il menu’ si adatta tranquillamente alle diverse condizioni stagionali.
Eppure luglio si adattava strategicamente alle mie esigenze sabbatiche. Tornata dal mare, con il Patato al nido sino a fine mese e senza vie di fuga alternative dalla città, un paio di mattine da dedicare alla cucina non mi erano sembrate una così brutta idea.
Ovviamente potrò recuperare in un altro momento, la scuola propone corsi a getto continuo, di tutti i tipi e per tutti i gusti. Magari potrò sperimentare qualcosa di più “sostanzioso” rispetto al menù dell’estate, qualcosa che metterà alla prova le mie capacita’ culinarie, in realta’ tutte da dimostrare. Niente di grave, quindi, men che meno di irrimediabile.
Ma un po’ mi dispiace. Già mi ci vedevo col grembiulione, in una vera cucina da chef.
Evidentemente il caso ha voluto dimostrare in modo inconfutabile un pensiero che mi frulla in testa da qualche giorno: luglio non e’ fatto per lavorare. Dovrebbe essere per legge universale il mese del riposo e della siesta non stop (anche dal lavoro di madre, naturalmente :-)! ) Troppo caldo per qualsiasi attività sensata.
Dopo tutto e’ il settimo mese dell’anno e, come il settimo giorno della settimana, pretenderebbe un certo riguardo.

PICCOLO OPPORTUNISTA?!?!

Spesso mio marito dice che nostro figlio e’ un piccolo “ruffiano”. Espressione colorita per descrivere efficacemente il fatto che la creatura sembra non essere particolarmente problematica nei rapporti sociali, purché chi gli sta intorno dimostri sufficienti premure e attenzioni nei suoi confronti. A queste minime condizioni di base il Patato pare quasi non fare alcuna preferenza personale, neppure al confronto con i suoi stessi genitori.
Personalmente credo che il piccolo sia un personaggino sostanzialmente socievole e abbastanza flessibile nell’adattamento medio alle variabili della vita. Per lo meno a quelle ritenute da lui negoziabili.
Ha una grandissima adorazione per il suo papà, ma vive discretamente anche quando capita che non ci sia. Sta volentieri coi nonni, ma non li cerca in modo particolare quando non li vede, idem quando stava con la Tata. Sul nido ho ancora molti punti interrogativi che per il momento sorvolerei.
Il dubbio esistenziale maggiore della sottoscritta riguarda proprio il suo rapporto con sua madre. Se intorno c’è qualcun altro che lo intrattiene a dovere, e’ come se io non ci fossi. Posso uscire, andare, tornare e quasi non se ne accorge. Le cose cambiano quando e’ malato, o quando non gradisce la compagnia di qualche estraneo. Diventa (un po’) mammone quando passiamo lunghi periodi insieme da soli, senza altre persone intorno. Al confronto di altri bimbi piccoli che mi capita di vedere, attaccati come cozze alle gonne materne, ogni tanto mi sorge il dubbio che il comportamento di mio figlio sia un po’ anomalo. Forse ha davvero la capacita’ di adattarsi alle circostanze, rispondendo empaticamente a quelle condizioni in cui si sente coccolato e al sicuro, non importa da chi e con chi. Nel linguaggio di mio marito, esattamente “piccolo ruffiano”.
Ma, forse, c’è qualcosa di diverso, qualcosa che io fatico ad interpretare o capire.

MENO MALE, C’È IL PARCO!

Domeniche di luglio in città. Se la settimana passa relativamente in fretta anche d’estate, tra incombenze quotidiane e qualche tour ai giardinetti cittadini sempre meno affollati (ma mediamente anche meno curati e più sporchi!), le domeniche a casa, soprattutto con bimbi piccoli, possono diventare un problema. Rientrati dal mare e senza immediate prospettive di partenza, non sempre e’ possibile o consigliabile organizzare interi week end fuori porta. Oltre agli inevitabili costi da affrontare ogni volta che ci si sposta, anche solo per un giorno o due, non sono di poco conto le seccature connesse a traffico e code per partenza e rientro che rischiano spesso di vanificare le poche ore di relax guadagnato.
Una soluzione che soddisfa molto la famiglia, sperimentata da tempo, anche prima della nascita del Patato, e’ la classica domenica al Parco di Monza. Abbiamo la fortuna di averlo a pochi minuti di strada e per noi e’ sempre stato un’ottima opzione per la voglia di evasione, natura e fresco praticamente fuori casa.
Il Parco di Monza, oltre ad essere uno dei parchi recintati più grandi d’Europa, e’ una vera meraviglia, in cui e’ possibile passare poche ore o un’intera giornata (www.parcomonza.org). Offre immensi spazi di verde, in cui ci si può dimenticare di essere nel bel mezzo di una città, tantissime opzioni di svago (giri in carrozza, col trenino, passeggiate in bicicletta, a cavallo o coi pony, un salto alla biblioteca…), così come la possibilità di organizzare un pic-nic sul prato, di scegliere un ristorante in cui pranzare, o più semplicemente, rilassassi prendendo il sole o godendo dell’ombra degli alberi secolari, o fare una passeggiata mangiando un gelato.
Ieri la nostra giornata e’ trascorsa così, col Patato scatenato sul prato, alla ricerca di avvistamenti di papere e cigni, in acuta osservazione di formiche e insetti vari che hanno per ore banchettato sul nostro plaid. Non e’ mancato, per fortuna dei genitori, un rigenerante sonnellino sotto i pini. Unico neo: la sottoscritta ha decisamente sottovalutato l’impatto muscolare di un’ora di giro in risciò, nonostante gli avvertimenti del marito che suggeriva prudentemente la scelta della bicicletta! Risultato: stamattina ho seri problemi di deambulazione, credo che due blocchi di marmo di Carrara li sentirei più leggeri 🙂