Il treenne di casa ha la varicella, da lunedì. Nulla di particolarmente inatteso, visto che, ormai da settimane, il virus imperversava a scuola, come da classica stagionalità, ed eravamo giusto qui ad attendere l’inevitabile.
Gran fastidio la varicella (lo dice una che l’ha avuta a 25 anni suonati), ma per lo più si risolve in alcuni giorni senza conseguenze, per lo meno in età pediatrica. Avrei quasi quasi evitato pure l’intervento del medico, non fosse che io medico non sono, e quindi formalmente non in grado di ufficializzare la diagnosi, e per il fatto che mio figlio, che non si fa mancare mai nulla, ha avuto in contemporanea una bella otite, con pus tracimante, per cui un intervento professionale si imponeva nonostante tutto. Chiamo quindi lo studio medico, spiego la situazione e chiedo che devo fare: “Porti qui il bambino alle 10.15”. Attimo di sorpresa: “Anche con la varicella??”, “Sì, non c’è problema”.
Probabilmente io sono rimasta ad una concezione arcaica di certi malanni, per cui si imponeva, non dico più la quarantena, ma una certa accortezza per evitare contagi urbi et orbi. Alla fine la creatura è stata accompagnata dal Marito, causa inopportuno sovrapporsi dei miei di malanni, che al ritorno mi dice: “Sì, ha la varicella“. Ok, fin qui c’eravamo. “Visto che non ha febbre” (37,7 °C o giù di lì) “hanno detto che il bambino potrebbe anche andare al Kindergarten“….“Ma è contagioso!!!!” “Sì, ma lui l’ha presa da qualcuno e a qualcun altro l’attaccherà. Non è una malattia grave, poi passa”.
Confesso che io mi ci devo ancora abituare. A questo pragmatismo estremo che qui applicano a tutti i campi della vita, con grandi ed evidenti risultati pratici per lo più. Ma sempre senza alcuna concessione a considerazioni “altre”, a quella filosofia del “se”, del “forse”, del “dopo” e del “ma”, tanto cara a noi italiani tanto da diventare un tratto intrinseco del nostro DNA. Tanto da diventare un limite, anche molto molto grande, a volte.
Mio figlio ovviamente non è andato a scuola. A parte il fatto che non fosse proprio nella miglior forma possibile, io mi sono immaginata immediatamente crocifissa sul cancello di ingresso, per aver osato introdurre nei locali (già ampiamente infetti, in verità) un nuovo e temibile veicolo di contagio. Forse pure denunciata per attentato alla salute pubblica, ché nella scuola italiana si applicano le regole del bel paese, con qualche non chiara concessione alla realtà ospitante.
Ma io confesso che li ammiro, anche se con alternanza di pensiero che sostiene, prevalentemente e senza ombra di dubbio, che qui siano tutti pazzi. Al DNA non si sfugge.