CAMPANULE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarà che mi sono fatta prendere dall’entusiasmo dei 20 °C del fine settimana. Ho comprato il basilico e i fiori per il balcone, nonostante il concreto rischio di qualche nevicata tardiva, visto tra l’altro che quest’anno in stagione non è proprio arrivata.

Non sono riuscita a resistere, non fosse altro che domenica più che primavera appena iniziata sembrava proprio estate. Mi sono detta: “Va beh, nel caso vada male ne prenderemo di nuovi”.

Solo che mi sono dimenticata di consultare il dizionario questa volta. Alcune settimane fa ho regalato dei fiori e, prima dell’acquisto, ho accuratamente verificato il significato: ci sono libri che, in qualche modo, lasciano il segno. Ho controllato stamattina, in preda ad una strana inquietudine.

Campanule: “gratitudine”.

Sollievo 🙂

 

VARICELLA. E GAP CULTURALE

Il treenne di casa ha la varicella, da lunedì. Nulla di particolarmente inatteso, visto che, ormai da settimane, il virus imperversava a scuola, come da classica stagionalità, ed eravamo giusto qui ad attendere l’inevitabile.

Gran fastidio la varicella (lo dice una che l’ha avuta a 25 anni suonati), ma per lo più si risolve in alcuni giorni senza conseguenze, per lo meno in età pediatrica. Avrei quasi quasi evitato pure l’intervento del medico, non fosse che io medico non sono, e quindi formalmente non in grado di ufficializzare la diagnosi, e per il fatto che mio figlio, che non si fa mancare mai nulla, ha avuto in contemporanea una bella otite, con pus tracimante, per cui un intervento professionale si imponeva nonostante tutto. Chiamo quindi lo studio medico, spiego la situazione e chiedo che devo fare: “Porti qui il bambino alle 10.15”. Attimo di sorpresa: “Anche con la varicella??”, “Sì, non c’è problema”.

Probabilmente io sono rimasta ad una concezione arcaica di certi malanni, per cui si imponeva, non dico più la quarantena, ma una certa accortezza per evitare contagi urbi et orbi. Alla fine la creatura è stata accompagnata dal Marito, causa inopportuno sovrapporsi dei miei di malanni, che al ritorno mi dice: “Sì, ha la varicella“. Ok, fin qui c’eravamo. “Visto che non ha febbre” (37,7 °C o giù di lì) “hanno detto che il bambino potrebbe anche andare al Kindergarten….Ma è contagioso!!!!” “Sì, ma lui l’ha presa da qualcuno e a qualcun altro l’attaccherà. Non è una malattia grave, poi passa”.

Confesso che io mi ci devo ancora abituare. A questo pragmatismo estremo che qui applicano a tutti i campi della vita, con grandi ed evidenti risultati pratici per lo più. Ma sempre senza alcuna concessione a considerazioni “altre”, a quella filosofia del “se”, del “forse”, del “dopo” e del “ma”, tanto cara a noi italiani tanto da diventare un tratto intrinseco del nostro DNA. Tanto da diventare un limite, anche molto molto grande, a volte.

Mio figlio ovviamente non è andato a scuola. A parte il fatto che non fosse proprio nella miglior forma possibile, io mi sono immaginata immediatamente crocifissa sul cancello di ingresso, per aver osato introdurre nei locali (già ampiamente infetti, in verità) un nuovo e temibile veicolo di contagio. Forse pure denunciata per attentato alla salute pubblica, ché nella scuola italiana si applicano le regole del bel paese, con qualche non chiara concessione alla realtà ospitante.

Ma io confesso che li ammiro, anche se con alternanza di pensiero che sostiene, prevalentemente e senza ombra di dubbio, che qui siano tutti pazzi. Al DNA non si sfugge.


IL MEGLIO DI TE

L’auto si è salvata, alla fine. Con solo qualche effetto collaterale per il conto corrente.
Io no. Che ho voluto partire lo stesso, nonostante tre giorni di un mal di gola feroce, autoconvincendomi che stava migliorando. Il risultato è stato un pomeriggio domenicale dirottato verso la guardia medica milanese, faringite + otite acuta = una settimana di antibiotico.
Forse sarebbe comunque finita così lo stesso e almeno non ho perso del tutto il mio seminario di yoga.
Non è dei malanni che volevo parlare, infatti, di quelli, ahimè, a volte si parla pure troppo.
Ma di qualcosa su cui ho avuto modo di riflettere in questo periodo e, in particolare, durante la formazione di questo fine settimana.
Il conflitto, la realizzazione di sé, ciò che ci impedisce di diventare pienamente ciò che siamo (o potenzialmente saremmo), se infiniti ostacoli non ostacolassero il cammino verso il nostro vero io.
L’assoluta maggioranza di quelli che noi chiamiamo “problemi” della nostra esistenza derivano da uno scarto, piccolo o grande (a volte immenso), tra quello che facciamo e quello che vorremmo fare. Tra ciò che siamo diventati e ciò che dovremmo essere.
Il conflitto lacera, ferisce, distrugge, consuma. La vita, per lo più.
La domanda è spontanea: come uscirne? Che fare?
Capita a volte di non vedere soluzioni. Di pensare di non avere scelta. Ma una scelta c’è sempre, anzi, di solito ce ne sono due.
Andarsene da ciò che non ci appartiene e ci fa stare male. O l’esatto contrario: aderire a quella condizione al cento per cento, con tutte le nostre forze, le nostre capacità e il nostro essere: diventare tutt’uno con quella situazione che, magari, quasi magicamente, cambierà trasformandosi in qualcosa di diverso.
Ho ripensato a me, alla vita degli ultimi anni, al mio (ex) lavoro, alla maternità. Le situazioni più drammatiche, nel mentre come negli effetti, sono esattamente state quelle in cui non ho scelto, o meglio, in cui credevo di aver scelto il male minore, una sorta di pacifica via di mezzo, il barcamenarsi cercando di galleggiare in ciò che ci fa stare male: posizione che, nei fatti, ci conduce dritti all’inferno.
Se non puoi andartene resta lì, ma diventa tutt’uno con quella contingenza, non voler essere contemporaneamente altrove. Dai tutto il possibile, l’assoluto meglio di te. Con consapevolezza, accettazione, pace. É la sola via di salvezza.

DEUTSCH IN PROGRESS

La lingua tedesca continua ad apparire grande nemica di mio figlio che, ancora, rifiuta categoricamente di rivolgere persino la parola alla maestra germanica. Salvo poi, tra le mura domestiche, sbizzarrirsi intensamente in improbabili performance canore.
Nessuno ha, sino ad ora, davvero capito i motivi di tale strenua protesta, probabilmente neppure il diretto interessato che, come si sa, trae ragioni di vita nell’opposizione immotivata alla qualsiasi.
Per tentare di compensare la media familiare, già inesistente, la sottoscritta continua diligentemente i suoi corsi bisettimanali, trascinandosi spesso estenuata tra generi misteriosi, astruse costruzioni di frasi e tempi verbali che, nella migliore delle ipotesi, riuscirà forse a praticare tra una decina d’anni.
Questa settimana pure le fasi ormonali hanno giocato a sfavore, con il risultato di far arrivare la poveretta al limite della depressione acuta, dopo ore impiegate a tentar di capire le venti milioni di casistiche della coniugazione dei verbi al passato.
Ma, ancora, non era abbastanza, visto che la sfiga, come si sa, quando inizia ci vede benissimo.
L’auto di famiglia improvvisamente finisce kaputt (per probabile ripicca contro la codaccia al Gottardo di domenica sera), col risultato che la sottoscritta, nonostante di sesso femminile e totalmente ignorante in materia di motori, trascorra ore allucinanti tentando di risolvere, oltre agli ormoni sballati e un mal di gola da urlo, inquietanti rebus linguistici coi meccanici della concessionaria parlanti in dialetto svizzero.
Bilancio complessivo della giornata: gli ormoni sono ancora sballati, il mal di gola è esattamente dov’era, la nostra auto pure, in attesa di non so quale pezzo di ricambio (a non so quale costo, cosa che, assicuro, in Svizzera può essere un problema!)
La ciliegina sulla torta è che domani sera dovremmo partire, ma forse, ‘sta volta, un bel weekend sul divano con plaid e tisana potrebbe sembrare un’ottima prospettiva.

OPINIONI

Ritorno da un weekend italiano, per i quarant’anni di una cara amica, un po’ funestato da un’ora di coda al Gottardo, così da ricordare che il tunnel infernale va tassativamente percorso in orari notturni, specialmente in caso di primavera anticipata.

Ormai mediamente devastati da quelle cinque ore di viaggio, un tramonto memorabile alleggerisce l’umore faticoso, pur se, quasi miracolosamente, mio figlio sembra non risentire affatto dell’immobilità forzata nel seggiolino e continua tranquillamente a giocare con le sue cose, cinguettando senza tregua nelle orecchie dei genitori.

La luce del sole che, scendendo al di là delle montagne, illumina le acque del lago è uno di quegli spettacoli che non renderanno mai se catturati da una fotografia, neppure comunque pensabile dai finestrini di un’auto in movimento.

“Patato, guarda che tramonto bellissimo! Guarda che meraviglia! Questi sono i regali di Dio” esclama mio marito in un attimo di lucidità dopo ore di imprecazione stradale.

“Sì, ma i regali di Babbo Natale sono più belli. Perché si possono toccare, questo no!”

“Ma come?!?! Questo non si tocca, ma si può vedere e, soprattutto, non si rompe, non si perde e nessuno potrà mai portartelo via!”

“No, no, no. I regali di Babbo Natale sono più belli, si toccano. Questo no!”

Ecco.

BUSY WEEKEND

Neppure la Littizzetto sono riuscita a guardare ieri sera. Crollata alle ore 9.35, dopo che, peraltro, già da un’abbondante mezzora languivo in stato comatoso sul divano, sepolta sotto la copertina della pennica. Mio figlio era nel mondo dei sogni dalle otto spaccate, evento pressoché unico nel suo genere.

E’ stato un (lungo) weekend impegnativo. Io non sono abituata a gestire sotto il mio tetto ben sette persone per tre giorni, colazioni e cene comprese, con grigliata domenicale finale, a degno compimento di un fine settimana meteorologicamente perfetto: sole, sole e ancora sole, con temperature ben al di sopra della media del periodo, come direbbero in tv.

Sono sempre più stranita da questa stranissima stagione, da questo inverno mancato (salvo alcune settimane di dicembre, in cui sembrava che iniziasse l’assaggio del vero rigore zurighese), ma mica mi lamento, eh. Temo solo che, a breve, quando dovrebbe arrivare sul serio la primavera, qualcuno faccia lo scherzetto di mettere il rewind e catapultarci sotto zero quando sarebbe, ormai, tempo di gite al lago, pic nic sui prati e abbronzatura.

Gli amici che ci sono venuti a trovare hanno avuto la fortuna di godere pienamente di una luminosa Lucerna e di una splendente Zurigo, che col bel tempo, sfoggiano veramente il meglio della loro meraviglia. Tutti contentissimi dell’esperienza: io ho capito che nella peggiore delle ipotesi, potrei pure aprire un bed and breakfast, loro per aver assaporato quella strana atmosfera svizzera che si vive nelle belle giornate e a cui devo ancora trovare un nome: rilassatezza, armonia, senso di pace e infiniti spazi.

Quella meno felice di tutti credo sia la lavastoviglie, ma non è poi così grave.

Adesso, però, io ho una domanda: domani è venerdì, vero?

 

BASTIAN CONTRARIO

Se sono riuscita a vedere mio figlio in maschera per il Carnevale di quest’anno lo devo esclusivamente alla buona volontà delle maestre che, in occasione della festa di venerdì, hanno fatto come al solito parecchie belle foto da condividere con le famiglie. Ovviamente non ho avuto l’onore di vedere il piccolo pirata “dal vivo”. Categorico il suo fermo rifiuto a mettersi il costume prima di uscire di casa o, almeno, una volta arrivati a scuola prima che me ne andassi. Mi hanno riferito che, solo dopo lunga e laboriosa attività di convincimento, sono riuscite a persuaderlo a indossare la maschera lasciata nell’armadietto.

Non è obbligatorio travestirsi, per carità. Io nel corso degli anni ho vissuto fasi alterne sul tema: periodi di sfrenato entusiasmo per la festa si sono succeduti a momenti di totale indifferenza, se non di evidente fastidio. Da bambina, però, ricordo che mi piaceva molto truccarmi, creare una maschera e diventare per qualche ora un’altra persona. E’ pur vero che mio figlio è forse ancora relativamente piccolo per comprendere bene e per apprezzare questo genere di iniziativa, tanto è vero che negli anni scorsi io non l’ho mai vestito per Carnevale, non mi sembrava opportuno usarlo tipo pupazzetto da agghindare ad uso e consumo degli altri, senza una sua attiva partecipazione all’evento.

Il tema, però, non è certo solo il Carnevale di questi giorni. Lui è così, sempre e comunque, in prima battuta: “No, no e poi no“. Magari dopo un’oretta o due ci si può ripensare: alla torta da mangiare, al cibo nuovo nel piatto, a un luogo sconosciuto o dimenticato da visitare. Meglio di no, poi si vedrà. In questo potrei dire che abbia preso un po’ da sua madre, famosa nel mondo per le modalità “diesel”. Si è così e basta, magari poi nella vita un po’ ci si lavora su, se si vuole, e si prova ad evolvere, o magari anche no.

Il tema vero è che il piccolo bastian contrario non funziona così solo per le novità, le cose sconosciute o sfide inattese, ma pure per tutto il resto della vita. “Vedi Patato che oggi piove?”, “NO, non piove!!!! No, no!”: peccato che scrosci il diluvio e si tutto allagato. Ma basta crederci, eh.