“Il colibrì” – Venerdì del libro

Sono parecchio in arretrato con le recensioni di alcuni libri letti il mese scorso. Una settimana di vacanza mi aveva permesso di “andare un po’ aventi con le letture”. Al momento invece, sono parecchio al palo: nonostante l’immobilità forzata a casa sto leggendo poco o nulla: figlio e marito 24/24h, attività domestica e di ristorazione lievitata alle stelle, e in più quello che diversi psicologi stanno spiegando: in questa situazione di allarme generale il cervello fa fatica a lasciarsi andare e a fare spazio alla lettura, anche se si tratta di un’attività per noi abituale.

Comunque, volevo parlare brevemente dell’ultimo libro di Sandro Veronesi, “Il colibrì” che, tra l’altro mi pare anche abbastanza adatto al momento che stiamo vivendo. Romanzo denso e complesso (come del resto era il suo famoso precedente “Caos Calmo“), un ulteriore viaggio alla scoperta dell’uomo, dei suoi universi, della capacità di sopravvivere, comunque vivendo, senza rinunciare a ciò che si è, nonostante e a dispetto di tutto, restando in equilibro sulle ali di eventi lunghi e pesanti di un’intera vita, dei suoi dolori, le sue disgrazie, le difficoltà, così come dei suoi momenti luminosi. In pratica: storia di un’esistenza che mostra come sia sempre possibile scampare il pericolo di diventare vittima degli eventi.

Consigliato, ora piú che mai.

Marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il colibrì. La sua è una vita di continue sospensioni ma anche di coincidenze fatali, di perdite atroci e amori assoluti. Non precipita mai fino in fondo: il suo è un movimento incessante per rimanere fermo, saldo, e quando questo non è possibile, per trovare il punto d’arresto della caduta – perché sopravvivere non significhi vivere di meno.
Intorno a lui, Veronesi costruisce altri personaggi indimenticabili, che abitano un’architettura romanzesca perfetta. Un mondo intero, in un tempo liquido che si estende dai primi anni settanta fino a un cupo futuro prossimo, quando all’improvviso splenderà il frutto della resilienza di Marco Carrera: è una bambina, si chiama Miraijin, e sarà l’uomo nuovo”.

Questo post partecipa al Venerdì del libro di Homemademamma.

CHAT DI CLASSE

(Immagine pixabay.com)

Come se il Coronavirus non bastasse, con tutto ciò che sta comportando per l’universo mondo, grazie al maledetto microorganismo ho pure rischiato l’apertura della chat di classe. In quattro anni di scuola svizzera nessuno che ne avesse mai ventilata l’opportunità, né del resto nessuno che ne avesse obiettivamente sentito la mancanza.

La scuola e le insegnanti hanno sempre comunicato in modo puntuale ed efficace ogni necessità, i chiarimenti – di qualsiasi natura essi siano – viaggiano sul canale scuola – famiglia interessata senza intermediari. Ad inizio di ciascun anno scolastico si eleggono due rappresentanti di classe che, di solito, si occupano di organizzare feste di fine anno e attività affini. Nessuna interferenza con l’attività didattica, per lo meno nella mia personale esperienza.

Un paio di giorni fa una delle rappresentanti della classe di mio figlio ha inviato a tutti i genitori un’email con la richiesta di esprimere un parere sull’opportunità di istituire la chat di classe, in considerazione della situazione eccezionale in cui ci troviamo, con scuole chiuse per almeno un mese e i tentativi in corso di organizzare un insegnamento a distanza che sia il più efficiente ed efficace possibile.

Ho avuto un attimo di terrore puro. In questi ultimi giorni siamo già tutti sommersi di comunicazioni di ogni tipo per cercare di avviare al meglio una cosa difficilissima, di cui nessuno ha davvero esperienza: trovare un modo per non far perdere a migliaia di studenti un anno scolastico. Ci mancava la chat di classe.

Ho avuto fortuna. Pare che i 2/3 dei genitori siano stati particolarmente lungimiranti, dichiarando di non sentirne per il momento affatto l’esigenza. Sospiro – profondissimo – di sollievo.

Caos calmo

Le maglie si stanno stringendo anche qui. Anche se finora non possiamo definirci una nazione intera agli arresti domiciliari, non è affatto escluso che nelle prossime ore e nei prossimi giorni le cose cambino radicalmente.

Le scuole sono chiuse praticamente fino alla fine delle vacanze di primavera (cioè a dire fino a fine aprile), cosi come tutte le attività extra-scolastiche pubbliche (e molte private, comunque soggette a prescrizioni particolari di sicurezza). Ci sono forti limitazioni alla vita sociale, che al momento hanno effetto su palestre, piscine, discoteche, bar, ristoranti, stazioni sciistiche. E’ fortemente incentivato il lavoro da casa, quando possibile, così come sconsigliato l’utilizzo dei mezzi pubblici, particolarmente nelle ore di punta. Mi aspetto a breve che si andrà oltre. Nonostante il clima da caos calmo, tutti apparentemente tranquilli tranne quando vanno a razziare il supermercato temendo la fine delle scorte di carta igienica e crema spalmabile alle nocciole, il panico serpeggia, non sempre a distanza di sicurezza.

Che dire? L’idea di non salire liberamente su un tram mi provoca un disagio difficilmente descrivibile. Taccio sul resto, visto che già in generale credo si stia parlando davvero troppo, su tutti i fronti e spesso a sproposito. Ci attendono momenti duri, volendo usare un eufemismo. Occorrerà venirci a patti, ognuno secondo le proprie possibilità.

Oggi qui è una giornata incredibilmente bella, che potrebbe resuscitare un morto. La primavera si manifesta, ogni giorno di più, con forza insopprimibile, incurante di tutto ciò che sta assediando gli umani. Dovrebbe far riflettere la nostra malattia umanocentrica che ci ammorba da secoli, temo non se ne avrà il tempo.

Ho camminato per i 6mila passi, stamattina, sono passata lungo il ruscello, accanto alla casa di riposo. Normalmente frequentata nelle belle giornate da parenti che vanno a visitare le persone ricoverate, le portano in giardino, o a fare un giro nei dintorni. Apparentemente deserta, porte sbarrate, divieto di accesso anche alle aree verdi. Bacheca del ristorante, normalmente aperto al pubblico, dove viene pubblicato il menu settimanale sostituito dal triste avviso di divieto di accesso a tempo indeterminato. Silenzio assoluto. Caos calmo.

Cronache virali

Siamo fragili, ma ce lo siamo dimenticato, forse ormai tanto tempo fa, e non vogliamo che nulla e nessuno ce lo ricordi. In questi giorni di paranoie virali pandemiche stiamo dando – ahinoi – il “meglio” di noi stessi, da tanti punti di vista.

Una mia amica farmacista stamattina mi ha detto che, prima che venissero completamente e irrimediabilmente esaurite, si presentavano persone a richiedere venti pacchi per volta di mascherine protettive, quelle che tra parentesi per difendersi dal virus non servirebbero a nulla. Scarseggia, sempre in farmacia e per motivi incomprensibili il paracetamolo, in alcuni supermercati anche il normalissimo sapone liquido per le mani e, per ragioni ancor più difficili da decifrare, la Nocciolata Rigoni senza latte.

P.s. siamo a Zurigo, nella civilissima Svizzera, nella quale in questi giorni sta pure cadendo a pezzi – sotto gli impietosi colpi del Corona – la regola iscritta nelle tavole della legge di salutare sempre e in qualsiasi circostanza il proprio interlocutore stringendo la mano (misura preventiva questa che, invece, mi pare felicemente sensata).

Io mi auguro davvero che prima o poi qualcuno riuscirà a fare tesoro della follia che stiamo osservando, producendo qualche opera meravigliosa come quelle dei grandi della letteratura, anche magari in qualche altro ambito. Almeno che non sia tutto vano, che in qualche modo un senso si riesca a trovare o a ricostruire. E, tra parentesi, devo andarmi a rileggere urgentemente “L’amore ai tempi del colera” uno dei romanzi più belli della storia dell’umanità. Spero naturalmente anche che Sepulveda si riprenda al meglio quando prima, e magari qualche speranza di riscatto la possiamo ancora nutrire.

Stamattina appena sveglia ho letto questo tweet di Enzo Bianchi, persona di mostruosa luce e saggezza al di là di qualsiasi schieramento di fede o non fede di ciascuno, ed ecco le parole che avrei voluto sentirmi dire in questi giorni, pensando che non varrebbero assolutamente solo per la vecchiaia, ma al contrario per la vita di ciascuno di noi, in qualsiasi momento.

E’ molto importante per affrontare la vecchiaia assumere la certezza che la vita finisce, respingere l’idea che il dolore può essere separato dalla vita, acconsentire alla vita nella sua debolezza, e continuare ad amare la terra e a gustare l’amore e l’amicizia”.