Pensieri scomodi

“Ci sono due categorie di persone a questo mondo:
⁃ coloro che danno rilevanza solo alle cose materiali, i Poverini!
⁃ Coloro che si occupano solo delle cose dello spirito, i Poverini!” (* cit)

(* aneddoto riferito all’insegnamento di un maestro)

Non metto cuori a caso, non faccio finta di essere felice se non lo sono, nè ostento serenità se al contrario sono incazzata nera e se mi piacerebbe magari usare il lanciafiamme modello Mandalorian su buona parte di quello che incontro, solo perché, secondo qualcuno, ciò non giova alla pace e all’amore universale.

Se c’è una cosa che, da sempre, detesto con tutte le viscere è l’ipocrisia, il far finta (volendo crederci, magari) che le cose vadano bene anche quando non è affatto vero.
Il far finta non ha mai aiutato nessuno, nè il diretto interessato, nè coloro che lo circondano, nè la società nel suo complesso. Crea solo maggiore frustrazione, risentimento, impotenza, volontà di rivalsa (conscia o inconscia). Alla lunga aggressività passiva e non consapevole, minaccia, violenza, cose sotto gli occhi di chiunque soprattutto negli ultimi tempi tormentati.

Tutto ciò è sperabile che prima o poi finirà nel mondo reale, ma non in quello di coloro che, vivendo una realtà parallela, profetizzano la fine dei tempi e l’avvento di un’inesistente nuova epoca in cui i fittizi nemici saranno sconfitti.
Dalla notte dei tempi nascono, si diffondono, e inevitabilmente muoiono, simili profezie insensate, ma evidentemente – come al solito – nulla l’essere umano ha imparato.

Questa pandemia credo abbia segnato l’epocale fallimento di una buona maggioranza dei fautori e guru delle cosiddette “discipline olistiche”, che invece di supportare l’essere umano in modo equilibrato, assennato e ancorato al dato di realtà nel difficile momento che tutti viviamo, si sono rinchiuse a riccio in un mondo parallelo, angosciato e angosciante, di auto-proclamati eletti ed illuminati, arroccati in posizioni superstiziose degne del peggior medioevo, rispetto alle quali è prevalsa in modo imbarazzante l’assoluta autocentratura sul proprio ombelico, lo sfrenato egoismo e individualismo negli intenti, nelle azioni e nelle dirette conseguenze sul mondo circostante. Modello di comportamento distante anni luce dai proclami “pace-amore-bene” universali che sono andati strombazzando per anni, continuando tra l’altro a profetizzare ideali di perfezione magico-spiritualista, del tutto scollegata dalla vita reale delle persone ancora dotate di un corpo fisico di cui avere cura e rispetto (e, “stranamente”, esattamente speculare alle posizioni di coloro che, al contrario, considerano l’essere umano un semplice agglomerato di carne e ossa).

Ho una certa conoscenza diretta, per ragioni personali e professionali, di tale realtà e se tempo fa semplicemente archiviavo con un mezzo sorriso o uno scuotimento di capo quelli che mi sembravano vezzi di qualche soggetto originale e un po’ fuori dagli schemi, ora non posso fare a meno di considerarne le conseguenze potenzialmente devastanti su sè medesimo e sul prossimo, a maggior ragione se fragile fisicamente, mentalmente o emotivamente. E personalmente ritengo che esista e dovrà esistere nel prossimo futuro una enorme responsabilità morale di questi personaggi per i loro proclami e i loro comportamenti.

Ciò naturalmente nulla toglie a tutti coloro che che con serietà, impegno, spirito di sacrificio, continuano con enorme fatica il proprio cammino di ricerca interiore, e che con onestà chiamano le cose della vita col loro nome, a costo di perdere amici, seguaci, lavoro, denaro e le solite cose del vile mondo umano, e contestualmente sono considerati reietti o traditori dal mondo delle anime nere che si fingono candide. Ma così è, se vi pare.

“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Matteo, 22,21)

“La situazione della vostra salute è un problema del vostro medico” (Eric Baret, da un seminario)

Sfide

(Testo e foto Carlotta G.)

Ho fatto pochi auguri di Natale, meno ancora per Capodanno. Non è stata una scelta, è andata così. Non posso dire che mi siano mancati, mi è mancato semmai un Natale che in questo caso, come non mai, non c’è stato.

Non l’ho proprio sentito, avrebbe potuto essere un qualsiasi altro giorno qualunque di un qualunque momento dell’anno e sarei stata più felice. Ho fatto cose che ero tenuta a fare, per senso del dovere, per abitudine, perché era meglio per qualcuno, non necessariamente per me.

Sono tempi avari, di cui sempre più percepisco il peso, tra lo sterno e le scapole. Gli antidoti scarseggiano, ugualmente sempre più avari.

Proseguo nel quotidiano, lavorando meno di quando vorrei, facendo meno cose di quanto mi piacerebbe, scrivendo quasi mai, ormai da tempo.

È salva la lettura, enorme e quasi unica consolazione che sia solo mia.

I tempi avari finiranno, prima o poi, è nell’ordine delle cose, ma nessuno può predire quando. Mi mancano infinite cose, alcune delle quali è evidente che non torneranno, il ciclo esaurito non si può risuscitare.

Procedo per sottrazione a quel che rimane, non perché mi piaccia, ma perché non ho alternative.

Rimane l’interrogativo di come si sopravvive a lungo alla carestia.