“Le cose come sono”

(Immagine Pexels.com)

Nel mese di marzo di quest’anno, mentre mi trovavo ad affrontare la prospettiva di un intervento chirurgico che aveva impegnato il mio quotidiano sin da Natale, ho iniziato ad avere problemi alla mobilità di un’anca.

Disturbi iniziati abbastanza in sordina, ai quali all’inizio ho dato molto poco peso, presa com’ero da interrogativi ben più pressanti sulla mia salute.

Nell’arco di alcune settimane la situazione è peggiorata al punto da impedirmi di sedermi a terra, di assumere posizioni per me assolutamente abituali e “scontate”, in cui stavo quotidianamente durante (e non solo) la pratica dello yoga, fino ad arrivare a non riuscire più a salire le scale e a camminare normalmente.

A quel punto sono ovviamente dovuta intervenire anche dal punto di vista medico, con accertamenti e terapie che, per vari motivi contingenti, sono andati purtroppo abbastanza a rilento. Oggi ho un quadro del problema relativamente completo, nonostante permangano notevoli punti interrogativi sulle cause scatenanti del disturbo che, nel corso di questo periodo, è leggermente migliorato nei sintomi, lasciando comunque immutata la forte limitazione alla mobilità dell’articolazione.

Mio malgrado, nonostante non abbia mai avuto una cosiddetta “salute di ferro”, pensavo e speravo di aver sufficientemente investito in tema di prevenzione almeno sul piano di una certa mobilità, guadagnata non senza fatica e disciplina, con anni di pratica. Ma, come dice il saggio: “le cose sono come sono” e noi non siamo necessariamente chiamati a capirne o scoprirne il senso. In questo momento nessuno è in grado di sapere se, prima o poi, riuscirò a recuperare la mobilità precedente e a risolvere i dolori che mi accompagnano.

Se così non fosse, con grande probabilità questo determinerà l’impossibilità da parte mia di continuare la vita professionale che, se pur piccola e di nicchia, avevo scelto e per la quale ho lavorato con sacrificio, dedizione e impegno (“Herzblut”, come dicono da queste parti) negli ultimi dieci anni.

Sto riflettendo perciò, con grande fatica e onesti momenti di scoramento, se abbandonare tout court o provare un gioco di prestigio, il tentativo di una piccola magia: continuare, pur con la forte limitazione che l’attuale condizione fisica comporta, e vedere cosa succede, con l’elevato rischio di scontrarmi con la cruda realtà delle cose del mondo, che certamente non agevola la presenza di una insegnante di yoga mezza zoppa, sostanzialmente impossibilitata, magari per sempre, a eseguire posture neppure così complesse, che dovrebbe invece insegnare agli allievi.

Io so, perché ne sono profondamente convinta e così mi è stato insegnato, che lo yoga non è un susseguirsi di posizioni, di esercizi da manuale, ma qualcosa di ben più profondo e alto rispetto a quello che si vuole esternamente vedere per comodità, o per propaganda “far vedere”.

Io lo so, ma non è lo stesso per la maggioranza del mondo, per il quale se già non fai fare qualche decina di saluti al sole e le posizioni capovolte sulla testa non stai certo praticando (o men che meno insegnando) yoga. Lo yoga dei perfetti, dei sani, dei performanti (sempre di più), quello che rende elastici e immortali fino all’età di (almeno) 120 anni. Quello per cui, alla fine, se non riesci a stare in una posizione è soprattutto per i tuoi limiti mentali, prima che fisici.

Rifletto, valuto i pro e contro, rifletto nuovamente e non trovo risposte al dilemma.

Rifletto anche su molto altro, ma di nuovo, staremmo andando troppo oltre rispetto alle possibilità di questo strumento.

“Quando vivete la vita di ogni giorno da un punto di vista di un «io non so», siete apertura. Ogni cosa è possibile. Vivete d’istante in istante, senza volontà di comprensione, senza confronti con il passato nè anticipazioni.” (Éric Baret)

Tanta bellezza

Dopo un decennio pieno di permanenza in terra elvetica, approfittando di un weekend lungo e di un meteo incredibile per la stagione, sono riuscita a varcare il Röstigraben e arrivare nella Svizzera francese.

Ho trascorso 48 ore con gli occhi a cuore, mai prima d’ora l’emoji mi sembrò più azzeccato. Laghi, cielo, vigneti (di cui qui sono mooolto orgogliosi e quasi quasi mi è dispiaciuto non bere vino), montagne, castelli, fiori, tramonti con panorami mozzafiato.

(Château de Chillon)
(Tramonto sul lago Lemano)

Poco più di due giorni tra Montreaux, Vevey e Losanna, per confermare il mio vecchio adagio “non ho ancora visto una città brutta in Svizzera”, superando addirittura ogni più rosea aspettativa.

(Losanna)
(Torre di Savaubelin – Losanna)
(Montreaux-Caux)
(Vevey)
(Vevey)
(Vevey)
(Montreaux)