PROVERBI

Qualche settimana fa durante la lezione di tedesco abbiamo studiato alcuni tipici proverbi e modi di dire, rispetto ai quali l’insegnante ci ha poi inviati a fare un confronto con quelli “di casa nostra”. Verrebbe da pensare che tra l’Italia e la grande Germania ci possano essere chissà quali differenze da scoprire sulla cultura e sul modo di intendere l’esistenza. Mica tante, in effetti: “Il mattino ha l’oro in bocca”, “Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi.

Riflettevo su questi, anche in considerazione del fatto che ci è stato evidenziato come nella cultura e nell’educazione svizzera sia considerato fondamentalmente importante questo “risparmio del tempo” che porta ad influenzare i bambini sin da piccoli con questi modelli che, poi interiorizzati, diventano delle linee guida permanenti al proprio comportamento. Sarà che io ogni tanto sento ancora mia nonna (che non era svizzera) che mi risuona nelle orecchie con queste due frasette…e sarà che mi è stato detto che da queste parti c’è gente che finisce pure dallo psicoterapeuta per “burn-out” proprio per essersi impegnato, ogni giorno della vita, a trasformare questi “consigli” in perfette realizzazioni del proprio essere.

Per lo più è tutta una grande bufala, a ben pensarci. Sarà magari anche vero che “il mattino ha l’oro in bocca” (almeno per coloro che non sono andati a dormire nel bel mezzo della notte), ma sicuramente ci sarebbe ben più da ridire sul “non rimandare a domani”: come qualcuno ha fatto notare il tempo è semplicemente un’illusione – una delle più pericolose in verità – E se anche tu ti fossi dannato l’anima per fare tutto quanto potevi oggi, e magari anche qualcosa di più, in modo da goderti il giorno successivo una giornata di profonda cuccagna, sappi che non è vero niente: domani ti troverai in un attimo altri milioni di inattese cose da fare, così che potrai dire addio alle tue velleità ricreative. E il giorno dopo ancora, e ancora e ancora.

Fino al momento in cui, in un frangente di miracolosa lucidità, ti deciderai a dire “basta” all’anticipazione dei bisogni tuoi e altrui, alle incombenze, alle scadenze e ai lavori di casa, e ti deciderai a stenderti sul divano solo perché così ti va, con buona pace dei proverbi italiani, svizzeri e tedeschi e di tutte le nonne del mondo.

KUNSTHAUS PER BAMBINI

(foto Carlotta G.)

(foto Carlotta G.)

 

Da qualche mese al Kunsthaus di Zurigo c’è una interessante mostra su Joan Mirò, ormai agli sgoccioli visto che terminerà alla fine della settimana. La sfida era riuscire a visitarla con bambini al seguito e, poiché l’esperimento era già stato fatto la scorsa estate, in occasione di un piovosissimo ferragosto per una visita alla collezione permanente della galleria, abbiamo deciso di tentare il bis.

Da alcuni giorni a Zurigo l’inverno ha deciso di mostrare il suo vero (e ritardatario per quest’anno) volto. Vento gelido, nuvole incombenti, raffiche di neve: giornate perfette per un paio d’ore al museo. La prima esperienza estiva al Kunsthaus aveva superato ogni rosea aspettativa: grazie anche al supporto dell’audio-guida (disponibile anche in italiano) la Creatura aveva trascorso ore tra un Picasso, un Monet e un Van Gogh senza fare un plissé, mentre io terrorizzata mi attendevo sciagure e danni economici incalcolabili per qualche disastro ambientale, o, quanto meno, qualche scenata epica tra urla e lamenti sul pavimento della galleria.

Questa volta devo dire che il museo ha dato davvero il meglio di sé, al punto che a tratti mi domandavo se il tutto fosse reale o meno: in occasione dell’esposizione dell’artista spagnolo è addirittura disponibile un’apposita audio-guida solo per i bambini, corrispondente ad un percorso “semplificato” pensato appositamente per i visitatori più piccoli. Non solo, ad ogni bambino vengono consegnati all’ingresso una cartellina da disegno e una scatola di pastelli, affinché possano disegnare e riprodurre la loro interpretazione delle opere durante la visita (il risultato è visibile nella prima foto in alto).

(foto Carlotta G.)

Al termine del percorso è stato allestito un piccolo shop in cui acquistare materiale specificamente pensato per i più piccoli, tra cui anche un bellissimo album contenente lavori coloratissimi su cui dipingere una volta tornati a casa, per non dimenticarsi subito di ciò che si è visto.

(foto Carlotta G.)

(foto Carlotta G.)

Ora, io ultimamente non frequento così spesso grandi musei e gallerie d’arte internazionali, ma anche pescando nei ricordi più o meno lontani, non mi viene in mente nessun luogo del genere in cui i bambini possono mettersi a disegnare sul pavimento davanti ad opere d’arte di fama mondiale, mentre tutti gli altri visitatori continuano indisturbati la loro visita.

TUTTI GIU’ PER TERRA!

Immagine tratta dal sito: www.pollicegreen.com

Immagine tratta dal sito: http://www.pollicegreen.com

Riflettevo su una cosa in questi ultimi giorni, una cosa alla quale, nella stragrande maggioranza dei casi, non siamo più abituati. Stare a terra, seduti, sdraiati. Io mi sono lentamente riappropriata di questa abitudine in anni relativamente recenti, da quando ho iniziato a praticare yoga e ancor di più da quando vivo in una casa con il parquet e il riscaldamento a pavimento 😉 Non è possibile prescindere dall’appoggio al suolo, in qualsiasi posizione esso sia, durante una pratica. E ed è proprio quello stare in stretta e costante comunicazione con la terra che consente di lavorare su di sé in un certo modo, diversamente sarebbe impossibile.

I bambini iniziano da piccoli a vivere il contatto col mondo, dopo i primi mesi passati sdraiati o in braccio ai genitori, proprio sdraiandosi, sedendosi, gattonando, rotolandosi a terra. Spesso, da un certo punto in poi della loro vita, arriva un imperativo assoluto a modificare drasticamente questo dato di fatto: “Alzati! Non stare lì sdraiato/seduto!” spesso accompagnato dall’ulteriore giustificazione “che per terra E’ SPORCO!” Si perde molte volte in questo modo una capacità sia fisica che psicologica di stare in quelle posizioni e in quello stato d’essere, capacità che magari ci si ritrova faticosamente a rincorrere anni e anni dopo.

Il pretesto simpatico per scrivere questo post me l’hanno fornito i miei genitori che, dopo aver trascorso qualche ora nel fine settimana con la Creatura in mia assenza, mi hanno fatto drammaticamente notare che il bambino continuava a sedersi per terra in ogni dove (più precisamente nel centro commerciale), dove avrebbe potuto prendersi chissà quale malattia mortale dal contatto con un pavimento contaminato da miliardi e miliardi dei peggiori possibili microorganismi. Intendiamoci, non lo incoraggio neppure io a praticare il rotolamento selvaggio in tali circostanze, ci mancherebbe, anche per motivi di adeguata educazione, ma la reazione che il comportamento ha suscitato in loro mi è sembrato un tantino eccessiva nella drammaticità delle possibili conseguenze. E sarà anche che il paio d’anni di vita svizzera mi hanno un tantino influenzata su certe “fissazioni” italiane.

Ma la cosa più simpatica di tutte è stata che, proprio mentre ascoltavo “impassibile” le loro rimostranze, noi stavamo preparandoci per una cena-pic nic sul pavimento di casa 🙂

 

“LA FIGLIA OSCURA” – Il venerdì del libro

 

Dopo aver letto questo libro di Elena Ferrante qualche settimana fa (il terzo per me, dopo i primi due capitoli della quadrilogia de “L’amica geniale”, mentre il successivo mi attende sulla libreria), ho finalmente capito cos’è che attrae nei libri di questa misteriosa scrittrice.

In considerazione del fatto che, sin dalla prima pagina di qualsiasi suo volume, mi sento inevitabilmente avviluppata in una spirale buia e tempestosa e che, dovendo utilizzare un aggettivo a caso, il primo che sceglierei per descrivere le sue storie sarebbe “angoscianti”, mi sono chiesta da tempo per quale motivo una volta cominciate le sue storie non riuscissi più a smettere di leggerle, nonostante le sensazioni non propriamente positive che suscitano.

Questo breve romanzo di poco più di un centinaio di pagine mi ha aiutato a risolvere il dilemma. Elena Ferrante riesce sempre, con un’abilità credo non comune, a mostrare “il lato oscuro” della vita nelle sue innumerevoli sfumature. In questo caso i panni sono quelli una madre “strana e sbagliata” che ripercorre con la memoria, a distanza di anni e col pretesto di una strana esperienza, il suo difficile rapporto con le due figlie ormai adulte e trasferitesi a vivere all’estero al seguito dell’ex marito, loro padre. E, ad una madre si sa (salvo che per la categoria delle mammeperfette, a cui certamente io non sento di appartenere) certe ombre difficilmente lasciano indifferenti.

 

Sento le lacrime della bambina sotto le dita, sto seguitando a picchiarla. Lo faccio piano, ho il controllo del gesto, ma a intervalli sempre più ridotti, con decisione, non un possibile atto educativo, ma violenza vera, trattenuta ma vera. Vai fuori, le dico senza alzare la voce, fuori, la mamma deve lavorare, e la prendo saldamente per un braccio, la trascino in corridoio, lei piange, strilla, ma tenta ancora di colpirmi, e io la lascio lì e mi chiudo la porta alle spalle con un colpo deciso della mano, non ti voglio vedere più”

 

Questo post partecipa all’iniziativa “Il venerdì del libro” di Homemademma.

IL “VERKEHRSHAUS” DI LUCERNA

Il padiglione dedicato all'aviazione (Foto Carlotta G.)

Il padiglione dedicato all’aviazione (Foto Carlotta G.)

 

I musei svizzeri sono una meraviglia, almeno quelli (purtroppo ancora pochi) che ho visto finora. Perfettamente organizzati, ordinati, puliti, ricchissimi di servizi per tutti i gusti e di tutti i tipi. A volte neppure troppo costosi, se considerata la media dei prezzi del Paese.

Prima della fine delle vacanze natalizie, terminato il su e giù dall’Italia, il Capodanno e tutti gli annessi e connessi, ci siamo concessi una giornata fuori porta a Lucerna, città meravigliosa di cui avevo già parlato tempo fa, questa volta per visitare il suo famosissimo Museo svizzero dei trasporti, anche “grazie” ad una giornata di pioggia insistente.

Come mi era stato annunciato il museo è davvero “Super!”, come dicono da queste parti, per tutti: grandi e piccoli, ognuno può facilmente trovare la sua dimensione e il suo interesse. Sicuramente per i bambini è una festa assoluta, all’interno dei padiglioni e all’esterno con gli spazi attrezzati per giochi all’aperto e attività varie – meteo permettendo – Il Verkehrshaus è anche enorme: in una sola giornata difficilmente si riesce a visitare tutto, pur limitando l’ingresso al museo dei trasporti vero e proprio, lasciando da parte il planetario e le altre attrazioni possibili, a meno di non essere super-veloci e non avere (forse) bambini al seguito.

In verità noi non siamo stati molto mattinieri, essendo ufficialmente in vacanza e con i postumi del Capodanno abbiamo voluto prendercela molto comoda, ma arrivando in loco verso le 11.30 ed andando via intorno alle 16.30 (in inverno la chiusura è alle 17.00) abbiamo visitato il padiglione treni, quello auto e quello aerei e mezzi spaziali (considerate anche il tempo per una rapida pausa pranzo e magari per un caffè/merenda prima di rientrare…cammina, cammina le energie di tutti si volatilizzano ;-)) Abbiamo, quindi, dovuto rinunciare al padiglione imbarcazioni che sicuramente visiteremo la prossima volta insieme magari al planetario, visto il grandissimo interesse della Creatura per ciò che sta lontano nel cielo e vicino alle stelle.

Altro enorme vantaggio dell’esposizione è che tutte le spiegazioni sono disponibili anche in italiano, trattandosi appunto di museo nazionale svizzero, ragion per cui risultano comprensibili anche descrizioni estremamente tecniche che sarebbero state assolutamente fuori dalla mia portata non solo in tedesco, ma anche in altre lingue, visto che già nell’idioma materno in alcune circostanze io sono un po’ in difficoltà…del resto il mondo dell’ingegneria non è proprio il mio forte!