Sono convinta che per uno straniero il mondo dei trasporti pubblici di Zurigo costituisca un interessante campo di osservazione della realtà, per me, almeno, è così. Stamattina ho assistito ad una scenetta divertente.
Bisogna premettere che, come ho già avuto modo di raccontare, “A Zurigo i tram hanno la precedenza anche su Dio“: non si fermano ai passaggi pedonali, hanno sempre la precedenza rispetto agli altri veicoli in circolazione e sono soggetti a ferree tabelle di marcia, scandite al secondo dai monitor accanto al conducente. Al momento in cui l’orario ufficiale comunica che è ora di lasciare la fermata, le porte vengono chiuse, viene attivata la freccia lampeggiante e si parte. Ovviamente non ha alcuna importanza se, nel frattempo, a tram ancora fermo, qualche ritardatario ha raggiunto le porte rischiando l’infarto per aver provato a battere il record mondiale dei 100 metri. Le porte sono chiuse, punto.
Quella è la regola, si sa, e se le prime volte capita di rimanerci un po’ male, poi ci si mette il cuore in pace. Anche perché il mezzo successivo passa dopo circa sette minuti, mica un’eternità. A me è capitata mesi fa una scena fantozziana: inseguo l’autobus fermo, un ragazzo gentilmente tiene premuto il pulsante di apertura della porta (trucchetto frequente per evitarne la chiusura automatica e far guadagnare qualche secondo ai poveri atleti frustati): arrivo di corsa, ringrazio senza fiato della cortesia e benedico la gentilezza di queste latitudini. Nella frazione di secondo in cui la mano del mio benefattore si stacca per scendere dal mezzo, la porta mi si chiude letteralmente davanti al naso. Niente da fare. Così sia. Ovviamente io ho imprecato in parecchie lingue, tra me e me, poi l’ho presa con filosofia.
Non avevo mai visto nessuno alterarsi per questo tipo di inconveniente, solo qualche composto gesto di disappunto misto a rassegnazione. Fino a stamattina. Scendo da un tram per cambiare linea: il mio è fermo sul binario dietro ad un altro fermo al semaforo, entrambi sono a porte chiuse. Guardo le frecce e vedo che lampeggiano: nulla da fare, è perso. Davanti alla porta anteriore, quella accanto al conducente per intenderci, è fermo un signore grande, grosso e rubicondo, evidentemente impegnato in un monologo poco gentile indirizzato al conducente medesimo: bussa sul vetro, fa gesti, si rivolge agli altri passeggeri in attesa dicendo frasi che ovviamente non sono in grado di comprendere, ma il cui contenuto, rispetto al mezzo infernale immobile di fronte a lui, è inequivocabile. Passano lunghi secondi: il tram è fermo e le porte rimangono chiuse. Poi, finalmente, parte, accodandosi a quello che lo precede, con l’usuale lentezza nel lasciare la fermata. E allora il gesto arriva: il braccio alzato, a mo’ di spada, e l’altrettanto inequivocabile dito medio, che sia ben visibile anche dal finestrino o dallo specchietto retrovisore, se del caso. Perché, anche a Zurigo, quando è troppo è troppo.