IL PATATO E MR. HYDE

Da tempo avrei dovuto essere più attenta e rigorosa, come si converrebbe ad una buona madre, e accorgermi che nella testolina di mio figlio si stavano rivelando strane presenze.
E’ un bambino vivace, ok. Questo da sempre. E non e’ che abbia mai ascoltato con pazienza e rispetto filiale le vane parole dei suoi genitori. Stare fermo e’ sempre stato un discreto problema, di qualsiasi posizione si parli. Esprimendosi ancora in lingua prevalentemente neonatese, l’effetto tsunami verbale non si e’ del tutto manifestato, ma seriamente temo il giorno non lontano in cui tutto il vocabolario comparirà, come per magia, nella sua boccuccia di Patato.
Il fatto e’ che da alcuni giorni noto comportamenti un pochino allarmanti, tipo il distribuire sberle alla mamma, emettere ululati da licantropo se contraddetto in qualche sua determinazione, lanciarsi in tuffi kamikaze da altezze preoccupanti. O avventarsi sui compagni di gioco, rei di avere per le mani qualcosa di davvero irresistibile ai suoi occhi.
E pensare che, per qualche momento, avevo cullato l’illusione che la crescita fosse arrivata al punto in cui ci fosse finalmemte consentito cominciare a ragionare – e negoziare – insieme, aprendoci così la strada ad un luminoso ed armonioso futuro familiare.
Illusioni, appunto. Ma chi era allora quell’angioletto-occhi-blu che ogni tanto arrivava di corsa ad abbracciare la mamma? Che le si metteva accanto sul divano, rubandole dalle mani l’ultimo numero di Vanity, per sfogliare le pagine con piglio da professionista, esclamando “mamma” e “papa’” ad ogni visione di modella/o gli capitasse davanti? Lo stesso che poi si sedeva serafico, piccolo omino in miniatura, a guardare i suoi libri colorati con profonda concentrazione, ripetendo il pezzo di storia imparato il giorno prima?
Deve essersi nascosto da qualche parte, in quel nanetto che ora dorme nel suo lettino nella posizione di Superman al decollo.

L’ALTRA META’ DEL MIO MONDO

Questo post e’ dedicato a mio marito, che mi sostiene e sopporta da ormai dieci anni. Che e’ il mio “grillo parlante”, la mia coscienza critica e colui che mi indica le luci in fondo ai tunnel che io non so vedere. Che e’ stato il primo e più grande sponsor del mio anno sabbatico, che mi ha convinto con grande lucidità a guardare ciò che era scritto sulla mia strada.
Penso che la nostra sia una grande squadra, da sempre. Quasi sempre. Ok, lo penso sempre tranne quando la sera rientra a casa e, non appena varcata la soglia, comincia a criticare il mio post del giorno. Non capita così spesso, per fortuna.
Solo quando lo ritiene non adeguato ai suoi elevatissimi standard qualitativi. O quando ritiene sia troppo “problematico” (cioè troppo da donne…). Quello di un paio di giorni fa, ad esempio, e’ stato massacrato senza pietà, non corrispondendo al vero il fatto che la famiglia stia soffrendo la fame (e meno male, dico io 🙂 ), e che la mia anima sia in carestia spirituale, se no non avrei di che scrivere in questo blog. E si e’ solo parzialmente ricreduto nel suo giudizio quando il post incriminato e’ stato pubblicato nelle home page dei blog e della sezione mamma.
Ha tante splendide qualità mio marito. Non si risente neppure più di tanto quando lo imbocco con gli avanzi della cena di nostro figlio. Forse perche’ lo sa che non lo faccio apposta, ma solo per un riflesso condizionato lungo due anni.
Una sola cosa gli manca. E anche a me che risparmierei un sacco di tempo in spiegazioni dei significati metaforici: un cervello di donna :D. Ma lo amo tanto lo stesso.

THE DARK SIDE OF THE MOON

Tanti discorsi di questi tempi sul lavoro che non c’è. Tante parole di mancanza, di fatica, di aspirazioni e diritti mancati. Tante realtà e tante verità. A cui aggiungere il rovescio della medaglia, l’altra faccia della luna. Quella di cui molto più raramente si parla.
Qualche settimana fa ero all’ipermercato a fare la spesa, vado al corner salute, entro. Non c’è nessuno. Prendo dallo scaffale il prodotto che mi serve e vado alla cassa. C’è la farmacista (la farmacista!) appoggiata al bancone, con davanti un quotidiano aperto. Sta leggendo. Io mi avvicino, appoggio l’acquisto. Passano alcuni secondi prima che lei alzi lo sguardo, poi, quasi sorpresa e leggermente infastidita, si riprende. Mi guarda, prende il prodotto, lo passa alla cassa. Pago e me ne vado. Nessun buongiorno da parte sua, nessun grazie.
Recentemente sul web si e’ scatenata una specie di guerra mediatica contro la Liguria, i liguri e il trattamento da loro riservato ai turisti. Tutti i luoghi comuni nascondono parti di verità, come ho già avuto occasione di scrivere. Da quando e’ nato mio figlio io sono stata diverse volte in Liguria e ho sempre trovato un’accoglienza squisita. Anche per il Patato neonato o molto piccolo, con tutte le sue esigenze e particolarità.
Mi e’ capitato in altri luoghi, con ben altra fama e vocazione turistica, di avere intorno cameriere incapaci di un sorriso, di un buongiorno spontaneo (salvo che tu non abbia prima l’iniziativa), di una parola simpatica per un bimbo piccolino. Che parevano fare immensi sforzi per ricordare che, forse, una creatura cosi’ puo’ avere difficoltà a restare seduta a tavola decine di minuti prima di avere il piatto pieno davanti. Che sembravano non avere proprio mai sentito il vecchio proverbio “il cliente ha sempre ragione”, che non e’ certo una verità assoluta, ma una buona indicazione per chi fa commercio si’.
Luci ed ombre, dove sono sempre e solo le persone a fare la differenza.
Pensiamoci.

IL CUORE ALTROVE

I luoghi hanno uno spirito. Qualcuno di più, qualcuno di meno. In qualcuno c’è il nulla.
Non ho ancora capito da cosa dipenda, se dalla loro natura, o dall’uomo che li vive. Ho ipotizzato anche dalla loro storia, ma i conti sembrano non tornare molto. Ci sono posti incantati con alle spalle un passato terribile, e viceversa.
Ognuno ha il “suo” posto nel mondo, ed e’ solo questione di avere la fortuna di scoprirlo. Meglio prima che poi, perche’ potrebbe essere la tua occasione di salvezza. Se così e’ potrai vivere una delle più incrollabili certezze dell’universo. Ovunque tu sia e qualunque cosa ti stia capitando, anche solo un pezzetto della tua anima sarà la’, al sicuro e in pace.
Io ho il mio, sono grata di averlo trovato tanti anni fa. E’ il mio miracolo, la boccata d’ossigeno, lo spazio che accoglie il mio mondo, sopra a tutto e nonostante tutto. Manco da un po’ e lo sento. Dovrei tornarci presto, almeno lo spero, anche se un pellegrinaggio dovuto, per ora, non potrà avere luogo.
Vivo altri spazi, di svago, riposo, vacanza. Va tutto bene, si sta comunque bene. Il Patato e’ in gran forma.
Ma il cuore e’ altrove. Guardare per credere.

SCELTE DI MAMME

Ho scoperto da pochi giorni un altro bel blog di mamme. Lo scrive una mamma che ha fatto una scelta di vita “alternativa”, quella di lasciare il lavoro dopo alcuni anni di carriera di successo per vivere più vicina alla sua bimba di tre anni.
Mi ritrovo in diverse cose di quanto dice, in tanti pensieri e stati d’animo. La sua – recente – decisione di cambiare vita e’ definitiva, non lo e’ il mio anno sabbatico. Ammiro la sua scelta, forte e coraggiosa, abbastanza controcorrente, soprattutto essendo maturata in un contesto professionale soddisfacente e ricco di gratificazioni, elemento distintivo rispetto ad altre situazioni che conosco, dove la vita lavorativa non proprio esaltante viene più facilmente accantonata per dare spazio ad altre priorità.
Io non conosco ancora cosa mi riserveranno i prossimi mesi. Non ho grandi progetti o strategie in testa, solo qualche augurio, tipo quello di trascorrere un inverno un po’ migliore di quello passato. E di cercare di usare al meglio questo tempo, per me, per mio figlio e per mio marito che, povero, temo a volte sia un po’ trascurato al confronto con la creatura. Ci sto provando, con le forze che ho.
Mi rendo conto che ogni tanto avrei bisogno di un po’ più di confronto “di donne” sulla mia scelta sabbatica e mi rendo anche conto di quanto poco “italiano” sia questo tema, così poco connaturato alla nostra cultura. In Italia o si lavora oppure no. Il no corrisponde alla casalinga per scelta, o alla disoccupata per forza. Difficilmente sono contemplate opzioni differenti. Credo che, sino a pochi anni fa, il concetto di anno sabbatico fosse pressoché sconosciuto alla lingua italiana. Scelte di vita del genere venivano, per lo più, classificate come eccentricità di qualche hippy, o dei rampolli di buona famiglia che potevano permettersi il giro del mondo a cinque stelle. Ritengo che nessuna opzione simile fosse contemplata per il genere femminile. Non che oggi la sostanza delle cose sia così radicalmente cambiata. Anzi.
Quando mi capita di parlare della mia scelta sabbatica trovo mediamente tre tipi di diverse reazioni.
La prima e’ quella degli entusiasti-ottimisti: “Ma che figata! Hai fatto un gran bene e hai avuto un gran coraggio. Goditela! Poi si vedrà!”
La seconda e’ quella degli scettici-conservatori: “Cosa?! Ma tu sei pazza. E come fai poi a tornare al lavoro dopo così tanto tempo? Chissà nel frattempo cosa sarà capitato in azienda e tu, comunque, avrai perso la capacita’ di lavorare”
La terza e’ quella dei “beata te che te lo puoi permettere”: se così hai deciso vuol dire che non hai bisogno di soldi e puoi stare mesi e mesi senza stipendio. Ergo, sei ricca o hai vinto alla lotteria, o hai la fortuna di avere chi ti mantiene.
Come tutte le tipizzazioni, poi, ciascuna categoria conosce contaminazioni con le altre, mediamente la terza e’ quella trasversale, applicabile sia agli entusiasti-ottimisti, che agli scettici-conservatori.
L’obiettivo del mio anno sabbatico e’ tutto tranne quello di cercare di convincere il prossimo di qualcosa o di far cambiare idea a qualcuno. Le mie considerazioni posso benissimo tenerle per me, salvo che vi sia chi e’ oggettivamente interessato a condividerle in modo costruttivo. Tutte e tre le tipologie di commenti contengono parti di verità e parti di luoghi comuni.
E’ vero, l’anno sabbatico PUÒ essere una figata, ma può essere anche un PROBLEMA tornare al lavoro dopo tanto tempo. Può essere capitato di tutto nel frattempo, ma anche no. E’ vero che devi, un minimo, “potertelo permettere” anche dal punto di vista economico.
Io non sono ricca, non ho mai vinto la lotteria della Befana e neppure la tombola di Natale, se e’ per quello. Ho lavorato per più di dieci anni con stipendi non certo da favola. Ho risparmiato qualche soldo. Mio marito per fortuna lavora.
Detto questo, ho sempre cercato di non sprecare il denaro, poco o tanto che fosse. Da quando sono a casa a maggior ragione.
Ognuno ha le sue priorità, preferenze e debolezze e può e deve lavorare su quelle, con qualche sacrificio inevitabile.
Io non compro abbigliamento firmato, appena posso aspetto i saldi, le promozioni o cerco l’outlet e questa estate per me non ho comprato nulla, non avendone reale necessita’. E non mi frega niente di avere addosso un modello dell’anno scorso. Non faccio colazione al bar, non fumo, non bevo alcolici. Spendevo un po’ in libri, anche se nella assoluta maggioranza dei casi solo in edizioni economiche, ora appena posso uso il prestito della biblioteca. Da anni ho l’abbonamento a Vanity Fair che, rispetto all’edicola, fa risparmiare quasi il sessanta per cento. Non faccio gli happy hour, esco a cena abbastanza di rado e comunque ritengo abbastanza immorale spendere cifre assurde per un pasto al ristorante. Non vado dal parrucchiere tutte le settimane. Ho sempre amato viaggiare, insieme ai libri e’ quanto amo di più. Non ho mai soggiornato in posti di lusso, non me li sarei potuti permettere, ma oggi faccio anche scelte diverse, che fino a qualche tempo fa non avrei neppure preso in considerazione per sbaglio. Cerco se possibile di organizzare le vacanze in bassa stagione, con molto meno puoi trovare cose bellissime. Non risparmio sulla salute, ne’ rinunciando alla qualità del cibo, ma guardo tutte le offerte dei miei supermercati. Non ho la TV a pagamento che tanto non guarderei e in casa ospito ancora una apparecchio che starebbe ormai bene in un museo.
La vita e’ fatta di priorità e ogni giorno cerco di scegliere le mie.

P.s. Questo post e’ stato pubblicato lunedì 20 agosto, per motivi ancora non chiari l’articolo pubblicato non consentiva l’inserimento di commenti dei lettori. Con un escamotage ho provato a rimediare:-)

I BELIEVE

Ho sempre creduto nella forza inesorabile della lettura.
All’illuminazione che ti coglie leggendo parole che avresti potuto scrivere tu.
Alla forza del pensiero che ti aiuta ad andare avanti, a vedere l’invisibile, a scoprire il mistero nascosto nella tua vita leggendo di quella di qualcun altro.
Qualche mese fa mi e’ capitato per le mani un libro bellissimo, scritto apposta per me, mamma incasinata, donna dall’incerto futuro e dall'(ormai) indefinibile passato: “Una donna in bilico” di Lucia Extebarria.
Se vi piacciono i libri “di donne e per le donne” (e di madri per le madri) io lo consiglio davvero. Per me e’ ormai tra gli irrinunciabili.
Mi dite quali sono i vostri?

DESERTI D’AGOSTO.

Ho sempre amato il deserto. Le poche volte che ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo ho pensato che la sua essenza fosse esattamente l’opposto del luogo comune collegato al suo nome. Col cavolo posto arido e privo di vita (arido ovviamente si, ma privo di vita proprio no). Da nessun punto di vista e soprattutto non dal punto di vista spirituale.
Qualcuno penserà che sono impazzita col caldo, e magari e’ anche vero. Qualcuno in famiglia lo sta insinuando, neppure troppo velatamente, da quando mi sono presa l’anno sabbatico. Ma non e’ di questo che vorrei parlare ora. Vorrei parlare del deserto. Avete mai visto, che so, il Sinai, al di fuori del casino di Sharm El Sheik? O la Monument Valley (dal vero, anche se già nei film rende parecchio!)? Ecco, io non mi sarei mai più mossa da li’. Credo che il vuoto possieda un grandissimo potere rigenerante, che il silenzio possa essere la migliore cura del mondo per noi uomini di povera fede.
Sarà anche per questo che amo la città d’agosto. Il silenzio irreale, la quiete che si diffonde inevitabile anche tra chi in vacanza non e’. Perche’ non ci può andare, o perche’ c’è già stato, o ci andrà in altri momenti. Certo, la calma d’agosto ha qualche effetto collaterale, di poca comodità, se devi fare chilometri per una farmacia aperta, un gelato, un po’ di pane e il latte fresco. Capita che l’unica alternativa sia il centro commerciale. Ma non importa, che per qualche giorno si può anche vivere senza tutte le comodità sotto casa.
E’ impagabile il silenzio, il vedere i pochi rimasti inevitabilmente contagiati da una lentezza istintiva, la mattina presto chi passeggia col cane, chi esce per un giro in bicicletta prima che sia troppo caldo.
Durerà poco, tra un paio di giorni ci saranno già i primi rientri e, gradualmente e irrimediabilmente, tutto tornerà come al solito.
Per ora mi godo il mio deserto, al meglio possibile. Buon ferragosto.

CINQUE GIORNI, UN COMPLEANNO E LO SPIRITO OLIMPICO

Ma quanto cresce un bambino in cinque giorni? Abbiamo lasciato il Patato dai nonni domenica scorsa, già pronto per la nanna. Siamo tornati sabato, in tutto cinque giorni di allontanamento genitoriale. Non cinque mesi. Giorni, le dita di una mano esaurite in pochi secondi. Quasi un’altra creatura, quasi difficile credere che nel frattempo non ce lo abbiano scambiato. E’ capitato altre volte, sia a me che a suo padre. Non vederlo per qualche giorno e trovarlo cambiato, nell’aspetto, ma soprattutto nel modo di essere.
Adesso pronuncia il suo nome, al posto di quel “io” o “me” detto battendo la manina sul petto. Con un certo orgoglio anche, ben scandito e ripetuto, casomai qualcuno se lo fosse perso. Prova a legare insieme nomi e parole, non tutte comprensibilissime in verità, tentando di esprimere al mondo quello che nella sua testa e’ già evidentemente chiarissimo da un bel po’.
Cammina come un maratoneta, sempre più difficile tenerlo seduto nel passeggino, vuole guidare lui, e guai a contraddirlo su direzioni e mete. Qualche – rara – volta riesci addirittura a portarlo in giro tenendolo per mano, fantascienza sino a poco fa.
In questo giro il Patato e’ stato anche molto fortunato, e’ riuscito a festeggiare degnamente il suo compleanno, in compagnia di qualche amico, scalmamandosi all’inverosimile e dando fondo a tutte le energie disponibili. Il calendario ha voluto che l’evento cadesse nel fine settimana, che se no ad agosto col cavolo che riesci ad organizzare una festicciola. Lo scorso anno il primo compleanno era stato abbastanza improvvisato e deprimente. Giornata infrasettimanale, nessun bimbo nelle vicinanze, serrata di negozi senza speranza. Il papà (al lavoro) riusciva in extremis a recuperare una torta prima di rientrare a casa. Qui nei dintorni nessuna pasticceria o gelateria aperta neppure a pagarla oro. Di quel giorno e’ rimasta qualche foto, con il Patato addobbato con una corona dorata su cui campeggiava il numero uno, un po’ smarrito davanti alla torta che non avrebbe neppure assaggiato. Quando ci ripenso mi ritrovo con un po’ di amaro in bocca. Per il primo compleanno di mio figlio avrei potuto fare qualcosa di meglio. Almeno stavolta abbiamo recuperato, l’anno prossimo vedremo. Altro giro, altra corsa.
Non c’entra niente con quanto raccontato fin’ora, ma che ieri siano finite le Olimpiadi un po’ mi dispiace. Ho visto molto poco, non sono certo una sportiva fanatica, e neppure un’avida consumatrice di TV. A casa mia il piccolo schermo (che e’ piccolo davvero e non solo per modo di dire) potrebbe tranquillamente essere dismesso e quasi non se ne accorgerebbe nessuno. Mi sono limitata ad assistere a qualche evento super-atteso e alle sintesi di cronaca in qualche Tg.
Ma già poter sentire nei titoli di apertura, vedere nelle home dei siti web e sulle prime pagine dei giornali qualcosa di diverso dalle solite disgrazie, dalla crisi e dallo spread e’ qualcosa che non ha prezzo. Per qualche secondo riesci pure a pensare che, forse, un giorno il mondo girerà al tempo di un’olimpiade e allora, anche per il futuro di tuo figlio che proprio compie i suoi primi anni, magari c’è ancora speranza.

LEGGERE A TRE ANNI?

Avete mai sentito parlare di Glenn Doman? Io no, fino a poche settimane fa, quando un conoscente di mio marito ha impegnato un’intera pausa pranzo nel raccontargli come l’applicazione del metodo creato da questo fisioterapista statunitense abbia consentito ai suoi figli di imparare a leggere a tre anni di età.
Al contrario della sottoscritta che, di principio, e’ spesso abbastanza scettica rispetto a quelle che definisce “stravaganti americanate”, il consorte e’ un ottimista ed entusiasta di natura e ha immediatamente provveduto a procurarsi il libro nel quale viene illustrata la teoria di cui sopra. E’ ovvio, poi, che la lettura sarebbe toccata a me, lettrice ufficiale della famiglia.
Ho affrontato il testo nei giorni scorsi e, a dispetto dell’iniziale pregiudizio non esattamente positivo, ci ho trovato senza dubbio interessanti spunti di riflessione.
E’ importante premettere che Glenn Doman aveva iniziato a lavorare negli anni sessanta con bambini gravemente cerebrolesi, fondando a Philadelphia gli “Istituti per il raggiungimento del capitale umano” e creando un metodo che ha prodotto ottimi risultati per il loro sviluppo relazionale, in situazioni classificate come irrecuperabili da parte della società medica del tempo.
Gli studi portati avanti sui bambini disabili hanno, in realtà, permesso capire molto anche dello sviluppo neurologico dei bambini sani. E proprio di questo parla il libro che ho letto “Leggere a tre anni. I bambini possono, vogliono, devono leggere“.
Il presupposto su cui tutto si basa e’ il fatto che la capacita’ del cervello umano di acquisire competenze, particolarmente di tipo linguistico, e’ massima dalla nascita al quinto anno di vita e, soprattutto, che tale capacita’ e’ ulteriormente agevolata dall’innata, grandissima curiosità che i bambini piccoli hanno verso tutto ciò che li circonda.
Lo scopo di insegnare a leggere in così tenera età, infatti, non e’ certo finalizzato a far diventare il bambino un piccolo e odioso genio disadattato (come molti pensano parlando di questo genere di argomenti), ma, al contrario, a dare ai piccoli tutti gli strumenti per entrare meglio, e con meno fatica, nel fantastico mondo della lettura, regalando loro un preziosissimo strumento di conoscenza, autonomia e soprattutto DIVERTIMENTO. Eh si, perche’ pare proprio che, se portato avanti nel modo corretto, il metodo Doman sia per i bimbi un favoloso divertimento, molto lontano dai ricordi di noia e fatica che molti adulti hanno dei loro anni di scuola.
Ho quindi deciso che ci rifletterò su un altro po’ e che, se riterrò presenti tutte le condizioni ottimali, proverò nei prossimi mesi ad applicarlo col Patato, visto che l’età ideale per iniziare sembra proprio essere quella intorno ai due anni.
Qualcuno di voi ha mai sperimentato qualcosa di simile? E, nel caso, con quali risultati?