Frammenti di luce

(Testo e foto Carlotta G.)

Negli ultimi giorni abbiamo avuto anche qui bellissime giornate autunnali, piene di sole e di luce e di incredibili colori che allietano il tunnel in cui siamo finiti. Ho sempre pensato, e ora più che mai, che la natura sia davvero una delle più grandi consolazioni dell’essere umano, a volte l’ultima risorsa rimasta a sua disposizione, quando intorno tutto sembra crollare.

Oggi, al contrario, è purtroppo una giornata buia, fredda e con una pioggia incessante, che fa sembrare incredibile quanto si poteva ammirare solo poche ore fa.

Ho voluto raccogliere qualche foto che contrastasse il grigio, il freddo e il diluvio continuo, scattate un paio di settimane fa in Italia, in occasione di qualche giorno di vacanza trascorso prima dell’ennesimo capovolgimento delle nostre aspettative e prospettive sulle settimane future.

Solo per ricordare a tutti coloro che ci credono, che i posti magici comunque esistono e quello che abbiamo avuto occasione di visitare è uno di questi: la realizzazione di un’idea, di una visione e di un sogno di coloro che vollero concepirlo e realizzarlo: Giardino Botanico – Fondazione André Heller – Gardone Riviera (BS). È chiuso d’inverno, ma nonostante sicuramente il periodo ideale per una visita sia la primavera, a metà ottobre lo spettacolo valeva ancora sicuramente la visita.

“Olive, ancora lei” – Venerdì del libro

Ho letto alcuni mesi fa il “primo capitolo” del famosissimo libro di Elizabeth Strout (premio Pulitzer 2009). Eravamo nel soleggiato lockdown svizzero e ricordo momenti trascorsi sul balcone alle prese con un libro che mi incuriosiva moltissimo (non fosse altro che per la sua fama) e che mi aspettavo completamente diverso da come si stava rivelando.

L’ho letto, terminato, e lasciato lì un po’ a decantare. Era uscito da poco il “seguito”, a distanza di un decennio, ed ero indecisa se prenderlo o meno. Qualche settimana fa mi sono detta “perché no?“.

Riesco a trovare una sola parola che lo descriva bene: immenso. È un libro immenso, fatto di piccole storie, molte di una grandezza infinita: è la verità sulla vita umana e le sue stagioni, sulla solitudine (Olive Kitteridge è tutto un trattato esistenziale sulla solitudine umana), sul dolore e le piccole gioie, un ritratto lucido e impietoso della società (americana sicuramente, ma non solo), che lascia alla fine qualcosa di enormemente grande che non ci abbandonerà mai.

Non è una lettura “leggera”, nel senso che non porta altrove (cosa di cui spesso sento necessità in questi tempi difficili), al contrario scava profondamente all’interno, ma in modo meraviglioso e con una scrittura cristallina che a tratti toglie il fiato . Ognuno troverà il suo capitolo preferito, il mio è “Luce”.

Questo post partecipa al “Venerdì del libro” di Homemademamma.

Lei avrebbe scritto della luce di febbraio. Di come cambiava l’aspetto del mondo. Stavano sempre tutti a lamentarsi, di febbraio; che faceva freddo e nevicava e il clima era umido perlopiù, e la gente aveva voglia di primavera. Ma per Cindy la luce del mese era sempre stata un mistero, e tale restava tuttora. Perché in febbraio le giornate cominciavano davvero ad allungarsi e, a ben guardare, uno poteva accorgersene. E vedeva come, verso sera, il mondo sembrasse spaccarsi come un melograno e la luce residua filtrare tra i rami nudi, come una promessa. C’era una promessa dentro quella luce, ed era una cosa fantastica. Sdraiata sul letto, Cindy riusciva a vederlo anche adesso, l’oro dell’ultima luce che squarciava il mondo.”

Le ultime settimane, e il piumone

(Immagine pixabay.com)

Perché poi, diciamocelo, in tutta onestà: nonostante il mio personalissimo percorso individuale mi abbia portato negli ultimi anni ad utilizzare con prudenza e parsimonia aggettivi polarizzati e polarizzanti, nonostante cerchi di mantenermi lontana dagli estremi e dagli estremismi, dai giudizi senza appello e dalle classificazioni prive delle sfumature di grigio, in alcuni frangenti faccio davvero fatica a farne a meno.

Anche volendo sospendere una valutazione complessiva del più sciagurato anno che l’universo mondo ricordi, almeno fino al prossimo 31 dicembre, non posso fare a meno di considerare che, negli ultimi tempi, l’unica cosa degna di consolazione è stata rimettere il piumone nel letto, archiviando fino al prossimo 2021 gli strati di coperte estive accumulatesi l’una sull’altra negli ultimi giorni, dal momento in cui una delle Indian Summer più calde che si ricordino ha drammaticamente ceduto il passo ad uno dei più precoci inverni che si ricordino.

Accanto alle consolazioni sensoriali del calore, aggiungo il sacrosanto Earl Gray del pomeriggio, che ormai quasi quotidianamente salva le ore che mi separano dal meritato riposo tra le pieghe del piumone dal baratro della disperazione.

Sono rimaste piccole cose, basiche, al livello della sopravvivenza: il cibo, il riposo, gli impegni quotidiani di famiglia e lavoro, le pulizie e i cambi di stagione, a parte la meraviglia dei molti libri che ho letto di questi tempi. Tutto il resto è sospeso, rimandato, annullato a data da destinarsi. Una vita in pausa, tra un rischio di quarantena e isolamento e il successivo. Tutto bene fino alla prossima volta, tra battiti di cuore persi per uno starnuto in più rispetto alla media quotidiana, un malessere in altri tempi insignificante e indegno di qualsiasi considerazione, che ora rischia di aprire baratri di incertezze e dilemmi. Impegni rinviati, amicizie in stand by da mesi e naturalmente nessuna reale prospettiva di miglioramento nel già pesante buco nero dell’autunno – inverno a nord delle Alpi (e, davvero, forse solo il riscaldamento globale potrà fornire un paradossale vantaggio competitivo).

Una volta esistevano le sacrosante vacanze autunnali, quelle benefiche e benedette settimane di ottobre in cui potevi provare a preparati all’inverno, godendo di qualche ultimo raggio di sole per una passeggiata, un weekend fuori porta, qualche ultimo giorno di mare. Quest’anno è un continuo “Chissà, forse, magari. Se non ci chiudono dentro/se non ci chiudono fuori. Se stiamo tutti bene e non riteniamo un rischio troppo grande attraversare la frontiera e andare a salutare i nonni, o cercare un posto in cui si possa essere sufficientemente distanziati dal mondo, pur continuando a farne parte almeno per essere in condizione di pensare di essere ancora vivi.”

Davvero, resta solo il piumone, un bel libro e la consapevolezza che una luce in fondo al tunnel, da qualche parte, prima o poi, dovrà pur esserci.