NEL VERDE

Park im Gruene (foto Carlotta G.)

Park im Gruene (foto Carlotta G.)

Metti una domenica di sole, con temperature estive, che richiama irresistibilmente ad uscire. Metti, però, una certa apatia di fondo (ai tempi di mia nonna si chiamava “pigrizia”), preparatoria all’incombente invecchiamento, che in verità lascerebbe volentieri la famiglia a languire sul divano, se non fosse per la consapevolezza che di lì a ventiquattr’ore si sarebbe di nuovo precipitati nel tunnel dell’inverno. Metti un paio di giri in rete per rinfrescare il proprio cervello addormentato con un paio di idee, per poi scegliere quella “più comoda” rispetto alla giornata del “non ho voglia di far niente!

Una decina di chilometri fuori Zurigo, comodamente raggiungibile in auto o coi mezzi pubblici: un’immensa oasi verde, confinante col verde dei boschi e con una meravigliosa vista su buona parte lago e delle Alpi sullo sfondo. E’ il Park im Gruene, di proprietà della cooperativa Migros che gestisce anche il ristorante al suo interno e le diverse attrazioni per i più piccoli presenti nel fine settimana o nelle giornate di festa o di vacanze scolastiche, nonché, l’immancabile Spielplatz.

E allora basta stendere una coperta su prato, chiudere gli occhi e affidarsi al relax, oppure prendersi un caffè o un gelato da mangiare all’ombra di un albero secolare, o accompagnare tuo figlio a fare un giro a dorso di asinello. Portarsi tutto il necessario per un pic-nic, compresa la carne da grigliare direttamente sul posto, o, per i più disorganizzati come noi, mangiare qualcosa al self – service e poi provare a giocare a badminton con le racchette comprate in loco, visto che anche in Svizzera il cross-selling è una realtà, ma alle volte anche una realtà comoda, per le famiglie un po’ impigrite, ma alla ricerca di attività rilassanti per il tempo libero.

E questa è, davvero, una delle parti migliori della vita svizzera 😉

 

DURI A MORIRE

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Ogni tanto mi viene da sorridere, ogni tanto no. Inizialmente ho riso di gusto, alcuni giorni fa, leggendo un articolo su un giornale distribuito gratuitamente qui a Zurigo, in cui, per un paio di pagine di lunghezza e dovizia di particolari, si raccontava chegli uomini (intesi nel senso di maschi) hanno scoperto lo yoga“. Dopo anni e anni in cui la disciplina era da loro sostanzialmente snobbata, perché considerata “cosa per femminucce”, da qualche tempo sta riscuotendo un successo senza precedenti.

Tutto ciò grazie al fatto che gli esponenti del sesso forte (ehm…) hanno capito che non si tratta affatto di una cosuccia all’acqua di rose, in cui ti siedi nella posizione del loto per un po’, meditando sulla punta del tuo naso, ma, al contrario, è una pratica che comporta impegno, dedizione, fatica, nonché una buona dose di muscoli, qualora tu sia interessato a mettere in pratica posture impegnative come quelle che, abitualmente, vengono “sponsorizzate” sulle riviste ad hoc, o sulle pubblicità delle scuole più trendy: in sostanza quelle che domenica ho visto fare dagli acrobati del Circo Nazionale Svizzero (che, tra parentesi, sono davvero bravi e meritano sul serio l’investimento di un pomeriggio con prole al seguito).

Una delle principali ragioni del recente successo dello yoga in campo maschile deriverebbe anche dal fatto che gli uomini sono sempre più soggetti ad ansia da prestazione lavorativa, che determina nel tempo una forte pressione psicofisica, sotto il peso della quale rischiano prima o poi il “burn out”, essendo tra l’altro mediamente meno abituati delle donne ad incontrare la parte emozionale di sé stessi e a prendersene cura con pratiche di auto-consapevolezza e rilassamento.

Stavo sorridendo molto, fino a che mi sono trovata a leggere, in coda, alcune delle ragioni per cui è consigliato praticare yoga:

Riduce lo stress

– Rinforza i muscoli

– Fa dimagrire

– Purifica il corpo

– Rinforza il sistema immunitario

– Migliora la vita sessuale.

Ora, vediamo un po’ se tutto ciò ha in qualche modo a che fare con una qualche altra “ansia da prestazione” o meno 😉

Difficile, difficilissimo davvero, staccarsi dai soliti clichés e dai nostri soliti schemi mentali del: “Faccio questo perché così divento più bello, più forte, più magro, più, più, più….” E se penso che lo yoga dovrebbe (potrebbe) seriamente aiutarci ad uscire dalle nostre abitudini, dai nostri sentieri quotidiani, dagli automatismi di cui neppure ci rendiamo più conto, allora mi viene sul serio un po’ meno da ridere. Poi, è chiaro, ognuno fa quel crede, e coglie dalla vita le opportunità nel modo che ritiene migliore per sé.

AD OGNUNO IL SUO

Immagine tratta dal sito www.manfredonianews.it

Immagine tratta dal sito http://www.manfredonianews.it

 

Da pochissimo tempo sto provando a fare qualche esperimento yogico con mio figlio, nonostante avessi sempre pensato di non essere assolutamente in grado di fare pratica o insegnare con i bambini. E’ capitato così, all’improvviso, senza che neppure fossi molto sicura di ciò che stavo facendo, dietro una sua esplicita e repentina richiesta: “Mamma, mi insegni ‘la yoga?!'”

Ho semplicemente improvvisato, facendo uno strano mix di elementi che conosco da tempo, ma che non avevo mai provato a maneggiare in modo diverso. Ci vorrà un po’, credo, per trarne una qualche seria conclusione, capire se in realtà questo tipo di lavoro ha una sua consistenza, oppure se è solo un modo diverso di giocare (che sarebbe comunque qualcosa: una nuova scoperta, la perlustrazione di un territorio sconosciuto). Quel che al momento è certo è che lui pare divertirsi moltissimo, anche in quel suo non riuscire a stare mai fermo, neppure per dieci secondi, altro che “posizioni comode e stabili da mantenere a lungo” 😉 Si vuol mettere sempre a testa in giù, chissà per quale stramba ragione, e mi ha stranamente stupito la goffaggine di certi movimenti, per me forse “scontati” e che in un bambino ancora relativamente piccolo avrei forse creduto più istintivi.

In effetti il suo “vero yoga” in questa fase della vita è, in realtà, il disegno. Passa ore e ore a dipingere, colorare, ritagliare, incollare, creare forme, oggetti, mondi. Immobile (!), concentratissimo, senza che niente e nessuno possa distrarlo dal suo lavoro, se non a caro prezzo.

Vedremo poi se con la forma più “ufficiale” non si stancherà, se vorrà provare ancora, se riuscirò – e come – a mantenere vivo il suo piccolo interesse. Ogni tanto, però, mi sorprendo, come quando dopo avergli detto: “Senti l’aria che entra nel naso? Poi dove va?” Lui ha risposto: “Va su, e poi di qua e di là. Poi giù, giù, fino ai piedi, e poi torna su ed esce”. Ritengo sia una suggestione, nata non so come e da cosa, altrimenti potrei proprio non aver già niente altro da insegnare 😉

GRAND TOUR

Le due Torri di Bologna (Foto Carlotta G.)

Le due Torri di Bologna (Foto Carlotta G.)

E’ stato una specie di “Grand Tour” il nostro weekend lungo dell’Ascensione, in occasione della quale in Svizzera è festa. Volevamo sfruttare il ponte di quattro giorni interi per andare a salutare degli amici (con nuova piccola arrivata da festeggiare) a Perugia, facendo una tappa dalla nonna a Bologna dove la Creatura sarebbe stata mollata, così da poter rimanere qualche ora in più a farsi viziare indecentemente 😉

Alla fine, più che un itinerario simil-turistico, è stato un vero tour del force. Tappe: Zurigo – Bologna; Bologna – Perugia; Perugia – Bologna; Bologna – Milano; Milano Zurigo. Tutto in poco più di tre giorni, avendo dovuto anche ritardare la partenza ed anticipare il rientro all’alba di domenica, per evitare la decina di chilometri di coda prima del “buco maledetto” (così ormai ho affettuosamente soprannominato il tunnel del S. Gottardo, il vero tappo tra il nord e il sud dell’Europa).

A Bologna, in verità, io e il Marito abbiamo trascorso praticamente una mezza giornata, in stato di sostanziale incoscienza dopo esserci svegliati prima delle cinque e aver passato sette ore in auto. Ciò nonostante le Torri erano un obbligo imprescindibile, ragion per cui, parzialmente rifocillati da un favoloso gelato artigianale italiano e caricati da una splendida giornata di sole, abbiamo adempiuto ai nostri doveri genitoriali e, davvero gettando il cuore oltre l’ostacolo, siamo saliti sulla Torre degli Asinelli (l’unica visitabile internamente) mettendo un piede dopo l’altro lungo tutti i suoi 498 gradini che, posso assicurare, sono davvero tanti, ma tanti!

Il piccolo di casa, estasiato, si arrampicava con l’agilità di un felino su per gli scalini di legno pluri-centenari, per i quali non avrei scommesso granché dal punto di vista della sicurezza. E, mentre io rischiavo un paio di volte l’infarto (tra fatica, vertigini, e timore che Lui mi precipitasse nel vuoto), l’arrampicatore nato è arrivano in cima senza neppure una goccia di sudore che gli scendesse dalla fronte. Come al solito: beata gioventù 😉