L’ANNO CHE VERRA’

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Uscivo da una porta, scendendo qualche gradino, in una tiepida mattina di tardo autunno, mentre una Zurigo già ammantata di bellezza per le imminenti feste natalizie attendeva di essere illuminata da qualche sporadico raggio di sole. Mi accompagnava la consapevolezza che nulla sarebbe stato facile, sicuramente ancora e sempre meno di ciò che era stato fino a quel momento. Non stavo pensando, semplicemente sentivo e sapevo. Sentivo e sapevo cose che si possono sentire e sapere e basta, cercando di lasciare in sottofondo il rumore dei pensieri affollati e indesiderati, numerosi come le zecche estive nei boschi svizzeri. Non avevo domande, né tanto meno risposte. Sapevo che entrambe sarebbero state sommamente inutili.

Mi rendevo conto, quasi all’improvviso, che questo strano, vischioso anno del calendario 2018 stava arrivando alla sua naturale fine. Avrei detto, in altri momenti della vita e in altre circostanze, qualcosa come “Che il diavolo ti porti, e a mai più arrivederci“. Sapevo sarebbe stata un’affermazione altrettanto sommamente inutile. Speriamo e crediamo nel tempo, vanamente.

Capivo che mi si erano svelate molte cose, alcune di queste sostanzialmente non-spiegabili al prossimo, neppure al più stretto parente o amico fraterno. Che ciò che mi faceva infuriare fino a poco tempo prima si era trasformato, quasi all’improvviso, in una verità piena di significato da santificare ogni giorno. Ero riuscita a comprendere, non con la mente, cosa significa andare avanti, sempre e nonostante tutto, sovrapporre indistintamente il riso alle lacrime, sentirsi morire e nello stesso tempo avere la consapevolezza che nulla potrà toglierti ciò che di più prezioso esiste nell’universo. Provare un lutto disperato, ma senza disperazione. Sapere che non c’è certezza, e rinunciare a cercarla. Sentire lo spazio, sempre e comunque, e il silenzio che lo accompagna. Sapere che non è un’illusione, ma l’unica vera verità.

E pensare, alla fine, che questo faticoso, vischioso, 2018 sia stato un anno bellissimo.

Buon anno.

“Ogni cosa merita rispetto, ma niente è importante. Le forme nascono e muoiono, eppure sei consapevole dell’eterno che sta sotto. Quando questo è il tuo stato d’Essere, come puoi non farcela? Ce l’hai già fatta”. (Eckhart Tolle)

 

 

(Testo e foto Carlotta G.)

TREND DEL MOMENTO

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(Immagine pixabay.com)

 

Candele e fiamme, molte candele, ancora più fiamme e fiammiferi accesi a ritmo frenetico: si cerca di controllare il controllabile, ma in occasione dell’avvento in casa mia inizia il momento piromania dell’anno. Obiettivo: sopravvivere, cercando di evitare l’intervento estremo dei vigili del fuoco, contando sull’allungamento delle giornate e nella ricomparsa di un po’ di sole che servano a calmare i tentativi compulsivi di rischiarare le tenebre.

Musica, musica, musica. Preferibilmente di interpreti ormai defunti (anche se di elevata qualità e, considerando quel che gira ora tra “i giovani”, non mi posso lamentare: meglio essere rintronati da “Billie Jean” che da qualche orrore che di questi tempi riempie la cronaca – magari nera -). Effetto collaterale: perdita del senso dell’orientamento musical-temporale. “Mamma, ma i Coldplay sono ancora vivi?” “Me lo auguro, hanno poco più di quarant’anni!”

Balliamo, balliamo, balliamo. Trend collegato al precedente: non si possono guardare ventimila volte al giorno su YouTube video di Michel Jackson senza essere contagiati dall’irrefrenabile stimolo di diventare il miglior ballerino pop dell’universo conosciuto. Probabilità di successo: inesistente.

Decoriamo, decoriamo, decoriamo. L’albero di Natale non è mai abbastanza addobbato, illuminato, argentato. Peccato che il trend minimal dei genitori si opponga al gusto decisamente barocco della prole per tutto ciò che fa decorazione e, soprattutto, può essere auto-prodotto. Effetto collaterale: danno ecologico di importanti proporzioni per tutti i materiali sprecati  utilizzati: carta, nastro adesivo, cotone, nastri, plastiche varie. Rimedio: nessuno. Si attende il superamento delle feste per loro decorrenza naturale.

Buon Natale!

 

“IL POTERE DI ADESSO” – Venerdì del libro

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“Siate coscienti di essere coscienti”

Eckhart Tolle è stato, per anni, almeno per me, uno dei segreti meglio custoditi dell’universo. Nemmeno gli algoritmi di Amazon erano riusciti a svelarlo ai miei occhi, ed ogni volta che ci penso mi pare una coincidenza alquanto bizzarra e misteriosa.

Il primo libro di Tolle “Il potere di adesso” è entrato in casa mia per vie traverse e fortuite, non era neppure destinato a me, che l’ho preso in mano, animata da uno scetticismo delle dimensioni del’intero continente americano, solo perché ad un certo punto non avevo a disposizione altro da leggere. Dopo una decina di pagine il mio scetticismo si era ridotto alle dimensioni del paesino di montagna abbarbicato sulle Alpi Svizzere e, tempo di terminare la lettura, avevo maturato la percezione di aver letto la cosa più importante che mi fosse capitata sotto gli occhi da tutta la vita. 

L’effetto quello di un velo squarciato, non all’improvviso certamente, ma grazie ad un lavoro ed esperienze di anni che, però, grazie a quelle pagine (segnaletica stradale, come la definisce l’autore…) rendevano il TUTTO assolutamente chiaro e incontrovertibile. Lo scopo, il senso, la forma, assumevano significati che, inconsciamente, avevo cercato di svelare senza esito fino a quel momento, dando semplicemente un ordine ed una logica – se è possibile definirla così – ad una informe massa di sensazioni.

“L’attesa è uno stato mentale. In pratica, significa che desideri il futuro e che non vuoi il presente. Non vuoi quel che hai, ma quel che non hai. Con ogni tipo di attesa non fai altro che creare inconsapevolmente un conflitto interiore tra il tuo qui e ora, dove non vuoi essere, e il futuro proiettato, dove desideri stare. Ciò riduce drasticamente la qualità della tua vita, facendoti perdere il presente”.

Un nuovo mondo è entrato in casa mia consapevolmente, anche grazie agli algoritmi di Amazon, comunque accompagnato da un’altra dose – minima stavolta – di scetticismo: non sarebbe stato, magari, un doppione del primo enorme successo editoriale (a me totalmente sconosciuto per una mezza vita), solo per far cassa in diritti d’autore? Le briciole di scetticismo si sono stavolta volatilizzate due o tre pagine più tardi, portandomi a domandare all’universo perché mai la lettura di questi due libri non sia resa obbligatoria in tutto il maledetto mondo conosciuto.

E’ impossibile argomentare di più, inutile provare a sintetizzare qualsiasi cosa. Se nutrite un certo interesse per la Vita, per il Senso, per il Sé; per la consapevolezza e per la mente. Se ci sono cose che credete possano essere svelate da qualcuno di illuminato, provate a leggerlo/li. Se non ne comprendete il senso o vi viene da pensare che siano tutte sciocchezze, lasciate perdere, vuol dire che non è ancora giunto il momento.

“L’ego è la mente non osservata che governa la tua esistenza quando non sei presente come testimone consapevole. L’ego si percepisce come un frammento separato in un universo ostile, senza alcuna reale connessione con gli altri esseri, circondati da altri ego che considera alternativamente come potenziali minacce o risorse da sfruttare. Gli schemi di base sono progettati per contrastare la sua paura profondamente radicata e il suo senso di mancanza. Sono schemi di controllo, resistenza, potere, attacco. Alcune delle sue strategie sono molto scaltre, tuttavia non risolvono mai definitamente nessuno dei suoi problemi, semplicemente perché l’ego stesso è il problema”.

Qualcosa, al di là di tutto, certamente e drammaticamente attuale.

 

 

Questo post partecipa al “Venerdì del libro” di Homemademamma.

“GIORNI GIAPPONESI” – Venerdì del libro

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Ho scovato casualmente “Giorni giapponesi” in una libreria, in una delle mie – non così frequenti – incursioni italiane. Non avevo mai letto nulla dell’autrice, che conoscevo indirettamente per essere la moglie di Tiziano Terzani, e sono rimasta incuriosita dalla possibilità di provare a leggere qualcosa dell’altra faccia della medaglia (o meglio, dell’altra metà della famiglia). Non essendo neppure mai stata in Giappone c’era dunque anche un certo interesse nel conoscere qualcosa su questo Paese che conserva, comunque sia, un aspetto tendenzialmente misterioso, scritto da di una persona che vi ha trascorso diversi anni della propria vita e che conosceva molto bene la realtà asiatica per esperienza diretta di vita personale e familiare.

Occorre anzitutto premettere che non si tratta né di un romanzo né di un saggio, ma sostanzialmente di un diario durato cinque anni (1995-2000), periodo della permanenza nel Paese del Sol Levante, immediatamente successivo agli anni trascorsi in Cina e precedente al trasferimento della famiglia in Thailandia. Lo stile, dunque, risente dei “limiti” dell’essere un diario, non sempre scorrevolissimo e a tratti un po’ ripetitivo. Chi cercasse recensioni sull’opera troverebbe numerose stroncature, non solo per ragioni stilistiche, quanto anche per la fortissima impronta “giudicante” con cui la storia e la cultura del Paese ospitante vengono raccontate e valutate. Dalla lettura emerge, in effetti, un’impronta fortemente critica – al limite del disprezzo – sulle strutture sociali, politiche ed economiche di quello che (negli anni in cui Angela Terzani Staude scrive) è il momento del massimo boom economico giapponese, quasi interpretato come un (in)diretto attacco ai valori e alle strutture di Europa e Stati Uniti d’America.

Non avendo nessuna diretta conoscenza della specifica realtà, e considerando anche che alcuni aspetti descritti risultano sicuramente datati e superati dalla storia, non sono certamente in condizioni di esprimere un giudizio critico con cognizione di causa. Stupisce comunque la durezza del giudizio, soprattutto da parte di una persona che per cultura, formazione ed esperienze di vita, dovrebbe essere stata avvezza a vivere e valutare la diversità come un valore. Resterà, dunque, per me un sostanziale mistero, se la realtà di una società e di una cultura siano state almeno parzialmente svelate, o al contrario completamente fraintese.

Tutta qui la cerimonia del tè?

Non ne ho capito il significato mistico – ho detto a Ulli

Non c’è – mi ha risposto prontamente – In questa cerimonia si tratta semplicemente di preparare, nel modo più estetico possibile, una tazza di tè per un amico.

L’estetica come paravento per il vuoto che vi si nasconde dietro?”

 

 

(Questo post partecipa al “Venerdì del libro” di Homemademamma)