Non so di chi sia questa immagine, mi era capitata sott’occhio qualche tempo fa, accompagnata da una didascalia che diceva qualcosa del tipo: “Ti puoi adattare, ma non è detto che quello sia il tuo posto”.
Mi ha fatto riflettere parecchio, pensando a tutte le volte della vita in cui (in alcuni casi senza possibilità di alternative) siamo costretti a fare la stessa cosa. E quando così è non c’è molto da dire: si fa quel che è necessario e punto a capo.
Il problema si pone quando ci infiliamo in situazioni del genere volontariamente e coscientemente, o meglio per mancanza di consapevolezza di ciò che l’operazione comporta.
Peggio ancora quando, ciechi e sordi alla realtà delle cose, proviamo lo stesso trucco con i più piccoli, confondendoli, o provando a convincerli di essere qualcosa di diverso da ciò che sono, perché una convenzione, uno schema, un pregiudizio non elaborato ci tengono prigionieri delle fessure dello scolapiatti, che tra l’altro scolapiatti non è.
E allora devo dire che un po’ di sana rabbia, quella che ti fa mandare tutti a stendere, l’emozione più vituperata dall’universo dei finti buonismi, con il suo sacro fuoco di distruzione del falso, è la cosa migliore che possa accadere per riportare l’ordine. Quello vero, e sano.