MEMORIA D’ELEFANTE

Potrei dire, senza rischio di essere smentita, di avere avuto, sino ad alcuni anni, fa un’ottima memoria. Al lavoro, così come nella vita privata, utilizzavo agende per segnare impegni ed appuntamenti: si faceva, e si fa, così, ma non ne avrei avuto realmente bisogno. Ricordavo tutto anche nei minimi dettagli e il consultare gli appunti scritti (rigorosamente su carta!) era una sicurezza in più, un modo magari per fare ordine mentale, ma ne avrei oggettivamente potuto fare anche a meno.

Questa beata condizione non è, ormai, che un lontano ricordo. Gli anni, la maternità, o l’una e l’altra cosa insieme, hanno impietosamente spazzato via la mia prodigiosa memoria. Non in modo lento e progressivo, impercettibile se non a distanza di anni e mediante accurate analisi in retrospettiva: l’effetto è stato paragonabile a quello di uno tsunami implacabile e incontenibile. Ormai la regola è che esco da una stanza per fare qualcosa in quella accanto e, nell’arco di un paio di minuti scarsi, già ho dimenticato il mio obiettivo. Triste. Avvilente. A tratti preoccupante, che sia mai l’avvisaglia di un caso precoce di Altzheimer. Tant’è: questa è la dura realtà.

Poi c’è mio figlio, tre anni e una memoria quasi incredibile per eventi e dettagli che ti domandi come e per quale strano motivo gli siano rimasti così impressi nella mente. Da quando l’età gli consente di interagire in modo comprensibile col mondo circostante è sempre apparso così e più passa il tempo più questa caratteristica diventa evidente.

Ricorda particolari che, ai nostri occhi di adulti, sembrerebbero insignificanti e improbabili. Procede ad associazioni di fatti ed eventi come minimo sorprendenti. Colori, suoni, esperienze brevissime e fugaci, che la mia testa neppure si prende la briga di registrare, sembrano scolpiti nella sua come i comandamenti sulla pietra del Sinai. E per tempi lunghissimi. Che sembrano infiniti per me e faccio fatica a spiegarmi come possano non esserlo per un bambino che parrebbe vivere solo nell’oggi, che ancora non sa il nome di tutti i giorni della settimana e per il quale il concetto di “ieri” e “domani” non risulta proprio così scontato.

In occasione del nostro ultimo ritorno in Italia, per le recenti vacanze autunnali, abbiamo trascorso qualche giorno a casa. A parte il fatto che lui ricordava tutto dell’ambiente, dei giochi lasciati lì per i rientri, di quelli che prima c’erano ma poi hanno traslocato con noi, un dettaglio mi ha lasciata letteralmente basita.

Eravamo entrati in casa da poco, avevamo appena aperto le tapparelle e il Patato viene da me e chiede di essere preso in braccio. Lo sollevo, lui guarda fuori dalla finestra, all’orizzonte, poi indica col ditino il profilo della città che si intravede in lontananza e dice, rivolto a me e al papà:Là dove ci sono quei palazzi alti lavorava la mamma“.

Dopo qualche secondo di sconcerto mi sono ricordata di averglielo detto una volta, una sola, e non so più in quale occasione, poco prima che ci trasferissimo a Zurigo.

4 pensieri su “MEMORIA D’ELEFANTE

  1. Avrei potuto scriverlo io questo post, la prima parte sulla MIA memoria, sputata sputata, e quella dei miei cuccioli, solo con qualche dettaglio diverso, dei luoghi e dei ricordi, ma identica nella sostanza.

    Direi che così è la vita

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  2. Capisco cosa intendi. Spesso mi chiedo se non ho trasmesso la mia memoria al nano al momento del parto, cosi, tutta insieme e gia’ allenata in anni di esercizio..

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  3. succede anche a me e, non avendo bambini, temo proprio di dovervi dire che….è l’ETA’…=((( io ricordavo tutto di tutto, numeri di telefono soprattutto. Ora il mio cell. suona un reminder ogni mezz’ora…O.O

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